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MONDO. Giorgia Meloni sta cercando di recuperare il ruolo che spetta all’Italia nella confusa situazione creatasi intorno ai tentativi di far cessare, anche momentaneamente, la guerra russo-ucraina.
Dopo la vistosa assenza nel vertice europeo con Zelensky e la diatriba acidissima con Macron, Meloni nelle ultime ore ha recuperato terreno. In primo luogo è rientrata nei colloqui prima e dopo la lunga conversazione telefonica di ieri di Trump con Putin: la partecipazione alle call ha consentito alla presidente del Consiglio di ribadire che l’Italia intende dare il proprio contributo per una pace «giusta e duratura» e dichiarare il proprio apprezzamento per la disponibilità del Vaticano ad ospitare gli eventuali colloqui di pace.
C’è da notare che la portavoce del Cancelliere tedesco ha tenuto a precisare che la presenza di Meloni a queste consultazioni è stata voluta dagli americani ed accettata dai partner in considerazione del buon rapporto tra la premier e il presidente Usa. Sembra un’affermazione positiva, in realtà non è esattamente un segnale di cordialità da parte dei leader europei. C’è sì l’eco (ma lontana) delle speranze meloniane di fare da pontiere da Usa e Ue.
Ambizioni che sembrano svanite salvo il fatto che, in occasione della Messa per l’intronizzazione di Leone XIV, Giorgia è riuscita a mettere intorno ad un tavolo tondo sia il vicepresidente Usa Vance che la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Incontro breve in cui non si sa di cosa si sia discusso ma è stato fatto sapere (fonte: Bruxelles) di cosa «non» si è parlato: dei dazi, dal momento che Ursula - appena l’argomento ha fatto capolino - ha chiarito che della questione si stanno occupando i competenti commissari europei, e non gli stati nazionali. Una precisazione che è tecnicamente esatta ma che politicamente tende a ridimensionare ancora una volta le ambizioni della presidente italiana.
Insomma, navigare in queste difficili acque della politica estera non è davvero semplice per Giorgia Meloni con dei partner europei che non fanno sconti a nessuno soprattutto se vedono che la loro collega riceve in campagna elettorale il candidato di destra-destra alle presidenziali romene (poi sconfitto) che tutte le cancellerie tranne Palazzo Chigi guardano con enorme preoccupazione.
I problemi della leader di Fratelli d’Italia però sono anche interni: la coalizione è continuamente scossa dalle prese di posizioni anti Ue di Matteo Salvini che sembra non voler perdere un’occasione per mettere in difficoltà la sua alleata continuamente costretta - insieme ad Antonio Tajani - a precisare, correggere, rimettere in riga. E poi magari a rendere pan per focaccia, come è successo al Consiglio dei ministri dove è stato deciso di impugnare la legge del consiglio provinciale autonomo di Trento che prevede la possibilità di un terzo mandato per il suo presidente, che oggi è Maurizio Fugatti, il leghista noto alle cronache soprattutto per la questione degli orsi nei boschi. Salvini si è infuriato, la Lega in Consiglio ha votato contro ma Fratelli d’Italia e Forza Italia non si sono mossi dalle loro posizioni. In un colpo, con questa impugnazione sarebbero ineleggibili non solo il veneto Zaia ma anche il friulano Fedriga e appunto il trentino Fugatti: per Salvini è veramente troppo. Si attende una contromossa.
Su tutta la coalizione, e soprattutto sui leghisti, inoltre è calato l’avvertimento di Sergio Mattarella sul tema delle competenze regionali che «devono rispettare i limiti previsti dalla Costituzione e dalle leggi». Caso esemplare citato da Mattarella per dimostrare che le Regioni non possono andare ognuna per la propria strada: «Gli intollerabili divari tra i vari sistemi sanitari».
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