L’Europa ha scelto, Ucraina nella Ue: un passaggio necessario

Affidarsi alla diplomazia diventa sempre più necessario in una fase in cui la guerra in Ucraina scivola verso il conflitto di logoramento estendendosi dal Donbass a Nordest e a Sudovest lungo un arco di mille chilometri. La conferma è arrivata ieri sera con il via libera alla candidatura dell’Ucraina, oltre che della Moldavia e più in là della Georgia, nell’Unione europea: lo ha deciso il Consiglio dei capi di Stato e di governo dei 27, nel vertice che si conclude oggi, dopo l’analogo sollecito della Commissione e dell’ Europarlamento.

L’Italia arriva a Bruxelles all’indomani della scissione grillina e con il sostegno di Senato e Camera all’indirizzo euro-atlantico del governo. Per quanto in alcuni momenti il nostro Paese sia stato visto come l’anello debole della resilienza occidentale, Draghi è stato il principale sponsor dell’ingresso di Kiev: una posizione inizialmente in solitudine fra i grandi Paesi Ue, poi con il viaggio in Ucraina il premier è riuscito a convincere Macron e Scholz. In quello che è un passaggio storico, l’Ue gioca una carta decisiva per stabilizzare il Vecchio continente, alzando le barriere alle mire espansionistiche delle potenze autoritarie. I tempi saranno comunque lunghi: gli allargamenti a Est iniziati nel 2004, un esempio senza precedenti di esportazione della democrazia per via pacifica, avevano richiesto circa 15 anni di preparazione.

Ma viviamo un tornante eccezionale, non ordinario: conta il segnale geopolitico, perché sulla difesa della sovranità dell’Ucraina si ridefiniscono gli equilibri continentali, e vale la replica al Cremlino che voleva un’Europa allo stato terminale. In realtà, fin qui, il disegno neoimperiale di Putin ha riunito l’Occidente e l’Europa su una questione, quella dei rapporti con Mosca, spesso divisiva. La Nato ha ritrovato una ragione esistenziale e il fronte Baltico si rafforzerà con l’ingresso di Svezia e Finlandia. Sulla dipendenza energetica si sta correndo ai ripari e sulla Difesa comune si comincia a discutere. L’opposto di quel che inseguiva Putin con la campagna d’Ucraina. Se la coesione multilaterale non era scontata, diventa essenziale mantenerla, come ha ribadito Mattarella aprendo i lavori della seconda Conferenza sulla cooperazione allo sviluppo: il conflitto «scatenato da Mosca per anacronistiche velleità di potenza, richiede una risposta netta, unitaria e solidale, al fine di giungere al ripristino di condizioni di pace». È la linea italiana sin dall’inizio e le parole del presidente hanno una proiezione valida per l’Italia e la Ue: sostenere la resistenza ucraina nella prospettiva di una soluzione negoziata, i cui termini dovranno essere stabiliti da Kiev. Gestire un conflitto d’attrito e indirizzarlo verso un’uscita diplomatica. L’approdo europeo, uno dei punti di frattura con il Cremlino negli anni scorsi, può diventare parte della soluzione per l’integrità dell’Ucraina, offrendo garanzie e tutela a chi sceglie una comunità di destino. L’allargamento europeo, oggi, non è una questione di mercato unico, ma soprattutto di sicurezza e di valori democratici.

L’azzardo del 24 febbraio ha restituito ai Paesi dell’Est il peso tragico della storia spostando il baricentro europeo dal Mediterraneo al blocco centrale del continente. Gli osservatori sottolineano però quanto sia difficile superare la sensazione di una guerra senza prospettive. Il tempo non lavora a favore degli occidentali e persino il premier britannico, Johnson, ha sottolineato un dato che si coglie: il rischio di una stanchezza sull’Ucraina, «il rischio che la gente non riesca a vedere che questa è una battaglia vitale per i nostri valori, per il mondo». Prima o poi potrebbe porsi il problema della tenuta unitaria, il punto d’equilibrio fra le due Europe: quella di Francia, Germania, Italia e quella dell’Est più esposta al pericolo russo. Una delle domande è se Biden sia pronto a imbarcarsi in un conflitto senza orizzonte, i cui obiettivi finali non sono chiari. L’inflazione è contagiosa e il conflitto non aiuta, visto l’impatto sui prezzi dell’energia e dei generi alimentari. S’è chiusa la stagione dei tassi bassi, l’onda lunga del conflitto s’è riflessa sull’inquieta Italia e sulla Francia di Macron.

Gli choc economici e l’emergenza alimentare diventano globali. Colpiscono pure il fronte antagonista dell’ordine liberale, il pianeta Cina ad esempio, prossimo al congresso del Partito comunista e con i guasti di una crisi interna rivelata dalla «tolleranza zero» al Covid. Pechino è con l’amico Putin, però non in modo totale: il perimetro critico per ora non supera la linea dell’offensiva contro la Nato e le sanzioni. Il vertice voluto da Xi Jinping dei Brics (oltre alla Cina, Brasile, Russia, India, Sudafrica) intende rinsaldare il club dei Paesi emergenti, l’alternativa al G7 e al blocco occidentale: una mappa che corrisponde ai Paesi che non applicano sanzioni contro Mosca. Lo zar è isolato rispetto a noi in quanto la coalizione pro Ucraina rappresenta la maggioranza del Pil mondiale, ma non la maggioranza delle nazioni e della popolazione. Una diffusa ostilità verso l’Occidente, per motivi storici post-coloniali e per convenienza geopolitica, che per l’Europa suona come un rinnovato monito: il dovere della compattezza e della solidarietà agli ucraini.

© RIPRODUZIONE RISERVATA