M5S, le armi spuntate di un ex movimento

ITALIA. Nel calcio vale una regola implacabile, ma sana: Mister che sbaglia, si cambia. In politica questa regola vale sì e no.

È valsa fino a quando il destino del segretario era nelle mani della base del partito. Tutto è cambiato da quando è diventato il comandante in capo dell’«azienda»: ne detiene leve di comando e risorse finanziarie. Diversamente dal Mister del calcio, non ha nessuno cui debba rispondere della sua attività. O meglio, dovrebbe rispondere a dirigenti e iscritti - ma il partito ormai ha le armi spuntate. Le hanno spuntate i dirigenti, che sono dei non eletti, ma dei nominati e quindi con le mani legate. Al Capitano devono la loro nomina, la loro carriera, il loro destino. Le hanno spuntate anche gli iscritti. Questi non soltanto sono sempre meno di numero, causa il crescente disamore che anima i cittadini verso la politica (fenomeno, questo, parallelo e complementare alla diserzione degli elettori dalle urne), ma anche perché chi non è d’accordo col Capo, di fronte alla difficoltà di combatterlo tende a lasciare il partito.

La personalizzazione della politica

È un processo in atto da ormai lungo tempo, in parallelo alla personalizzazione della politica e alla verticalizzazione del potere. Risultato: il segretario è quasi inattaccabile. Non è più la base che nomina il segretario. È il segretario che sceglie la sua base. Questa tendenza è in

È il segretario che sceglie la sua base. Questa tendenza è in atto un po’ in tutti i partiti.

atto un po’ in tutti i partiti. Ma è operante soprattutto nelle forze cosiddette populiste. Queste non vogliono sentir parlare di intermediazione fra leader e popolo. Nella loro concezione della politica sono due entità che tendono a fondersi in una sorta di unità mistica. Essendo l’incarnazione del popolo, il leader diventa pressoché inamovibile. Inamovibile certo dalla base. Amovibile, ma solo a certe condizioni, dai vertici, o con congiure o se il segretario trascura il saldo controllo delle leve del potere. Alla sua ombra, si può scatenare allora la lotta per la successione.

Leader inamovibile: il caso dei M5S

È quel che è avvenuto nel M5S quando il suo fondatore Grillo, padre padrone del movimento, vuoi per supponenza vuoi per leggerezza, si è giubilato da solo come padre nobile del movimento, lasciando - quasi incoraggiando - libero gioco alla lotta per la sua successione. Schermata da una apparente, esibita concordia, è partita una lotta di tutti contro tutti. L’ha avuta vinta alla fine il più capace nei giochi di potere, l’avvocato di Volturara Appula. Una volta insediato al posto di comando, Conte ha pensato bene di far fuori tutti i pretendenti alla suprema poltrona: Di Battista, Fico, Di Maio. In seguito, ha trasformato il movimento, che è una realtà liquida e quindi sfuggente a un controllo dall’alto, in partito: una struttura ben conformata e governabile. Si è attorniato poi di suoi uomini: di nominati, non di eletti, quindi dipendenti dal suo benvolere. Da quel momento non c’è stato più nulla da discutere. C’è stato solo da recitare la parte del replicante del leader. Tutto è andato liscio finché il Mister è risultato vincente. Fino ad oggi, quando il partito ha accusato un’infilata di flop, nelle Marche, in Calabria - dove addirittura s’è intestato una sonora sconfitta, proprio nel nome del suo candidato-governatore - infine in Toscana.

Il caso dell’Appendino

Un partito che è tutto d’un pezzo non sopporta le frizioni. Al terzo flop consecutivo elettorale il M5S ha perso un pezzo del suo vertice, Appendino. Poco danno - si dirà- ma un brutto segnale. È la prima volta che un nominato dal Mister gli si è rivoltato contro. L’avvocato del popolo è corso prontamente ai ripari. Ha indetto la rielezione del segretario, con il contestuale azzeramento dell’intera squadra di comando. Al voto al voto, ma per scegliere l’unico candidato, Conte stesso. Per la campagna elettorale, meno di una settimana. Non era difficile prevedere che il popolo grillino si sarebbe stretto in massa attorno al suo leader (rieletto ieri).

Il futuro del M5S

Il movimento Cinquestelle prometteva la democrazia diretta in cui fosse la base perennemente in servizio permanente effettivo a chattare su ogni questione, tanto più quando ci sono da eleggere i dirigenti. Da movimento, però , si è fatto partito, in cui il capo ha il pieno controllo del potere. Il bello verrà dopo la rielezione di Conte. Se i numeri elettorali del partito continueranno a dargli torto e la sfida per la candidatura a premier lo vedrà perdente a vantaggio di Schlein, che fine farà anche la sua leadership con un partito condannato ad essere il gregario del Pd?

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