Meloni porta a New York, l’Ue disunita sui migranti

ESTERI. Con una curiosa e improvvisa modifica della sua agenda newyorkese, Giorgia Meloni ha preferito non intervenire alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (delegando il suo vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani) e disertare ben due ricevimenti ufficiali.

Il primo dei quali addirittura offerto dalla Casa Bianca – «non ho bisogno di un’altra photo opportunity» è stata la curiosa giustificazione - e l’altro dall’ambasciata italiana. In compenso, la presidente del Consiglio è stata vista in serata attovagliarsi ad un celebre ristorante tricolore per addentare un bel piatto di spaghettoni al pomodoro (pare che l’indirizzo le sia stato consigliato dal cognato-ministro Lollobrigida). C’è tuttavia una spiegazione seria a queste diserzioni, diffusa da palazzo Chigi per evitare battute e ironie cui anche noi staremmo per cedere: la presidente infatti avrebbe evitato questi appuntamenti un po’ per limare l’intervento di queste ore in assemblea generale sul tema cruciale dell’immigrazione, un po’ per non intralciare i colloqui in agenda con i leader africani: ieri Senegal, Kenya e Guinea; oggi Algeria.

E si sa che, nell’ambito dell’ambizioso «Piano Mattei» che l’Italia meloniana vorrebbe adottare, la tessitura dei rapporti diplomatici con i Paesi del Sud del mondo è una cosa fondamentale, come insegnava Giulio Andreotti tanto tempo fa. Proprio di immigrazione Meloni vorrà parlare dopo che Tajani in Consiglio di Sicurezza ha confermato il punto fondamentale: che noi stiamo con l’Ucraina e contro la Russia, con gli Stati Uniti e con la Nato e contro tutti i putinisti che girano per i Paesi europei, con Zelensky e la sua difesa dell’integrità territoriale del suo paese contro Mosca che «potrebbe scatenare una guerra mondiale» come ha avvertito il leader di Kiev che anzi ha chiesto di togliere a Mosca il potere di veto in dotazione ai cinque Grandi vincitori della Seconda Guerra Mondiale.

Assodato questo, noi abbiamo però anche il serio problema di non diventare – per usare le parole di Giorgia Meloni – «il campo profughi dell’Unione Europea». Già, perché stanno frenando se non franando tutte le iniziative diplomatiche per modificare il trattato di Dublino e per attivare meccanismi meno volontaristici di solidarietà europea a sostegno dell’Italia che sopporta decine di migliaia di arrivi dal Nord Africa. L’ultima riunione degli ambasciatori Ue dedicata alle nuove regole sui migranti si è bloccata di fronte al «no» di Polonia, Ungheria, Austria e Repubblica Ceca e all’astensione di Germania, Austria e Slovenia.

Nel frattempo l’appello di Ursula von der Leyen alla solidarietà (insieme al piano in dieci punti) lanciato dopo la visita a Lampedusa è caduto nel vuoto più agghiacciante: nessuno ha risposto.

Infine, come tutti sanno, Francia e Germania hanno sigillato i loro confini, non accetteranno un solo migrante che giunga dall’Italia. La Francia, nazione sempre pronta a dare lezioni di virtù agli altri, ha addirittura mandato le forze speciali e i droni a Ventimiglia per bloccare ogni tentativo dei profughi di bucare la frontiera attraverso i boschi in montagna. Meloni non accetta che le si chieda se non sia delusa dell’atteggiamento dei suoi amici sovranisti di Polonia, Ungheria, Cechia, ecc. e risponde provocatoriamente rilanciando: «E allora la Francia, e la Germania, e l’Austria?». Non ha tutti i torti.

Del resto, le elezioni europee si avvicinano per tutti e la paura di un elettorato esasperato dall’«invasione» è comune, riguarda destra e sinistra. E così a Meloni non rimane che appellarsi all’Onu chiedendo un’iniziativa al segretario generale Guterres avvertendo che una migrazione illegale fuori controllo rischia di destabilizzare non solo l’Italia ma l’intero Mediterraneo e, in ultima analisi, anche l’Europa. Il fallimento degli accordi con il satrapo tunisino Saied pesa, come pesa la mancanza di soldi per convincere il tunisino a non lasciare a briglia sciolta i trafficanti di essere umani, liberi di premere per suo conto sui disorientati governi europei, inerti su qualunque iniziativa. Come quella di rimettere in piedi la missione di marina militare simile a quella che si chiamava Sophia. Purtroppo in questo caso in Europa si ricordano che fu proprio un vicepremier di un governo italiano con dentro la destra, Matteo Salvini, a tirarsi indietro da quella missione accusandola di inefficacia e proclamando che l’Italia «avrebbe fatto da sola».

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