Negoziato l’europa per ora fuori dai giochi

Come per Gaza. A dispetto degli opposti oltranzismi, la notizia, al momento in cui scriviamo ancora frammentaria, che l’Ucraina avrebbe accettato un piano di pace in 19 punti dopo un intenso dialogo diplomatico con gli Usa, dev’essere comunque accolta con favore, perché avvicina il momento in cui ucraini e russi smetteranno di morire e, forse, anche la fine della guerra. L’importanza di questa fase del negoziato, peraltro, era testimoniata dal livello della delegazione ucraina agli incontri di Abu Dhabi: il braccio destro di Zelensky, Andriy Jermak, potente e discusso capo dell’amministrazione presidenziale; il segretario del Consiglio di sicurezza, Rustem Umerov; il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov. Gli uomini-chiave della verticale del potere zelenskiano, con lo stesso presidente che, a detta dei suoi più stretti collaboratori, è pronto a partire per Washington per la stretta finale con Donald Trump.

Ma questo è, ovviamente, solo il punto di partenza. Non è ancora chiaro, per esempio, se il consenso ucraino spiani la strada a una corrispondente mossa russa o se, invece, la trattativa Usa-Russia debba ancora essere finalizzata. E soprattutto non è ancora chiaro quali siano i termini dei 19 punti del piano, per così dire, finale. Nelle scorse ore il gotha politico ucraino (lo stesso Umerov, il presidente del Parlamento Stefanchuk, il capogruppo del partito zelenskiano «Servo del Popolo», Arakhamia) ha fatto muro nel ribadire le linee rosse di Kiev: no alla cessione dei territori non ancora conquistati dai russi nel Donbass, no al riconoscimento legale dell’occupazione russa, no al ridimensionamento dell’esercito, no al veto russo su future alleanze, compreso l’ingresso nella Nato. Non si vede però come il Cremlino, dopo quasi quattro anni di guerra, di scontro politico ed economico con l’intero Occidente e di lutti e sacrifici per la popolazione, possa accettare di portare a casa così poco. Se fossero rispettate le linee rosse di Kiev, quasi niente.

Trump e i suoi hanno sempre detto che la pace avrebbe richiesto rinunce sostanziali all’una come all’altra parte. Bisognerà quindi vedere a che cosa Mosca e Kiev vorranno (o saranno costrette a) rinunciare e, nel caso si arrivasse a un cessate il fuoco, come poi proveranno a «vendere» alla propria gente come una vittoria ciò che alla fin fine sarà un compromesso in una guerra che, come ci è capitato di scrivere su queste stesse colonne, nessuno dei due poteva vincere. Almeno non nel senso classico che si dà al termine vittoria. La sensazione, mentre gli eventi ancora si dipanano, è che anche la Russia abbia ridimensionato le tradizionali posizioni massimaliste. Ieri il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, in un lungo intervento, ha detto tra l’altro che «mentre altri chiacchierano, noi facciamo un lavoro diplomatico», lasciando quindi intendere che il negoziato con gli Usa stava proseguendo. Da tempo peraltro si era capito che le linee di comunicazione di Mosca con Washington non si erano mai davvero interrotte, anche nelle fasi in cui il confronto sembrava più acceso.

Restiamo dell’idea che, al netto di alcune pretese di facciata e di sostanza (l’Ucraina fuori dalla Nato, pur sapendo che in ogni caso sarebbe protetta dagli Usa e armata dall’Europa; la Crimea come parte della Russia; il Donbass, magari con la vecchia idea dello statuto speciale come da Accordi di Minsk), il boccone più goloso per la Russia resti l’allentamento delle sanzioni e la ripresa delle relazioni politiche ed economiche con gli Usa. Come peraltro sta avvenendo, in una sorta di prova generale, tra gli Usa e la Bielorussia pesantemente sanzionata dal 2022. Questo consentirebbe a Mosca di dare respiro all’economia, guadagnare spazio di manovra con la Cina, recuperare un posto al tavolo dei grandi ed emarginare ancor più l’Unione Europea.

Quest’ultimo è, purtroppo, il dato politico più evidente. Il piano europeo in 24 punti, congegnato più per risultare inaccettabile alla Russia che per sostenere un vero negoziato, è tramontato subito. L’Ucraina tratta con gli Usa, la Russia pure. Trump non parla con i leder europei ma telefona a Xi Jinping. Dietro le quinte, semmai, si muove come facilitatore la Turchia. Vedremo come finisce ma per il momento Bruxelles è fuori dai giochi.

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