Nel Pacifico si rinsalda l’alleanza Cina-Russia

ESTERI. L’ordine è stato improvviso e a sorpresa. Alle 2,30 del mattino di Mosca di venerdì scorso la Flotta del Pacifico è stata messa in stato di massima allerta. Ci mancavano anche i russi.

Nell’arco di pochi giorni si sono registrate le manovre navali dei cinesi davanti a Taiwan e quelle americano-filippine in funzione anti-Pechino. Si sono osservati i soliti lanci di missili dei nord-coreani, si sono pianificate esercitazioni in pianta stabile di difesa anti aerea comune tra Usa, Giappone e Corea del Sud. In breve, nel Pacifico tutti mostrano i muscoli dopo che il presidente cinese Xi Jinping si è lasciato andare a dichiarazioni interpretate dai vicini come bellicose. In precedenza, americani, britannici e australiani avevano creato la «Aukus», una specie di Nato regionale.

Ma che c’entrano ora i russi? Il Cremlino non ha già sufficienti grattacapi in Ucraina? E perché la flotta del Pacifico si esercita a «respingere uno sbarco» alle Curili meridionali, proprio nelle isole contese da Tokyo? La ragione è semplice. Con questa mossa Vladimir Putin intende dimostrare a Xi Jinping - suo recente ospite - che Pechino può contare militarmente su Mosca se la situazione nell’area dovesse precipitare e si dovesse arrivare ad uno scontro armato tra cinesi ed americani.

Per poter sopravvivere a possibili passi falsi o débacle nel Vecchio continente, l’attuale Amministrazione del Cremlino ha la necessità di alzare la posta ai massimi livelli possibili. Quindi potrebbe essere per lei vitale legare la questione di Taiwan alla tragedia ucraina. L’esercitazione russa alle Curili meridionali avviene, guarda caso, nella zona in cui vi è l’unico passaggio profondo non ghiacciato, dove i sottomarini atomici federali escono nel Pacifico. Altrimenti le acque davanti a Vladivostok e quelle di Okhotsk diventerebbero un mare chiuso. In totale sono 5 o 6 gli arcipelaghi contesi, in particolare nel mar cinese meridionale, da dove passa una delle principali magistrali degli oceani, in cui transita una grossa fetta delle merci prodotte al mondo. Nel corso degli ultimi anni Pechino ha costruito isolotti artificiali e considera di conseguenza le acque limitrofe come interne contestando le normative internazionali. Gli americani, al contrario, ribadiscono la libertà di navigazione.

La libera navigazione, è meglio ricordarlo, è una delle fondamenta su cui è basata nei secoli l’intera cultura dei commerci prima britannica poi statunitense. In ballo, pertanto, vi sono principi non discutibili. Il Pacifico è una polveriera piena di campi minati all’interno dei quali è difficile seguire una percorso che eviti disastri. Alcune diatribe vanno avanti da decenni. Ma è mai possibile, ad esempio, che Mosca e Tokyo non siano ancora riuscite a firmare uno straccio di trattato di pace che ponga fine alla Seconda guerra mondiale? Tra i due Paesi è in vigore dal 1956 una Dichiarazione comune che ha fermato il conflitto e ristabilito le relazioni diplomatiche. Niente di più. Tutti i successivi tentativi di ricomposizione formale del dissidio sono stati infruttuosi.

Il centro del contendere è rappresentato appunto dai 4 isolotti delle Curili meridionali, i «Territori del Nord» per il Giappone. La situazione nel Pacifico non è, però, allo stesso stadio di scontro come quella nel Vecchio continente, dove si combatte già con le armi in mano. Onde evitare che qualcuno deliberatamente porti il classico cerino nella santabarbara, sarebbe bene che la comunità internazionale vigili attentamente e versi ondate di acque gelide sui bollenti spiriti e sulle teste calde.

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