Russia-Cina, patto forte: il messaggio agli Usa

MONDO. Per l’ottantesimo anniversario della vittoria sul nazismo (nella «grande guerra patriottica», come dicono i russi), Vladimir Putin ha offerto agli sguardi del mondo non una ma tre parate.

La prima, e in fondo la più scontata, è stata quella propriamente detta: la marcia dei soldati e degli armamenti, lo spirito patriottico e il discorso del comandante in capo, ovvero dello stesso Putin, tutto centrato sul ruolo della Russia (allora Urss) nella sconfitta della Germania hitleriana. Un’atmosfera di tranquilla sicurezza che quasi strideva con quelle degli anni scorsi: cupa e torva nel 2022, pochi mesi dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina; segnata dall’ansia per l’offensiva ucraina quella del 2023; improntata alla cautela quella del 2024, con l’avanzata nel Donbass ancora agli inizi. Questa è stata la parata della fiducia, forse eccessiva, in una prossima vittoria. Sentimento che, dicono le rilevazioni del Levada Center, è condiviso dal 72% dei russi.

La seconda parata

Poi c’è stata una seconda parata. Quella con cui Putin ha «sfoggiato» la partecipazione di 25 tra capi di Stato e di Governo, ministri e ambasciatori di altrettanti Paesi, con la defezione all’ultimo momento di Ilham Aliev, presidente dell’Azerbaigian. L’intento era trasparente: mostrare che la Russia non è isolata, che può contare su amici, alleati e Paesi che in ogni caso non hanno intenzione di condannarla. È una situazione di cui si era già presa coscienza ma che il Cremlino ha voluto sottolineare con l’iniziativa inedita di far sfilare, accanto alle proprie, truppe di altri tredici Paesi, prime fra tutte quella della Cina.

Poi la terza, con la Cina

Ed è qui che si arriva alla terza parata, la più interessante, quella che ha visto «sfilare» Putin e Xi Jinping. Il leader cinese è stato senza dubbio l’ospite d’onore delle celebrazioni, fin dal momento dell’atterraggio a Mosca, dove è stato l’unico a essere accolto da un vicepremier, Tat’jana Moskalkova, responsabile delle Politiche sociali e della Sanità. Poi un crescendo, con la pompa incredibile dell’incontro con Putin tra gli stucchi e gli ori del Cremlino e il posto riservato accanto al presidente russo sulla tribuna della Piazza Rossa, e le chiacchiere fitte fitte attraverso un interprete.

Anche questo è stato uno spettacolo, teso a dimostrare che l’alleanza tra Russia e Cina è più forte che mai, e che se Trump spera di dividere Mosca da Pechino si sbaglia di grosso. Molti analisti sostengono che sia illusoria l’idea dell’«amicizia senza limiti» che le due diplomazie propagandano destra e manca. Non sarà amicizia, sarà interesse o chissà che ma per ora il patto russo-cinese resiste. Anzi, cresce. Prima dell’arrivo di Xi Jinping, Putin ha detto che la Russia è diventato il primo importatore di automobili Made in China (il 30% dell’intera produzione), ringraziando le aziende cinesi che vogliono costruire stabilimenti in terra russa. Nel 2024 l’interscambio commerciale tra Russia e Cina ha raggiunto i 245 miliardi di dollari (più 68% rispetto al 2021). Con un elemento aggiuntivo: quasi il 90% delle transazioni si svolge in rubli o in yuan. E dall’invasione del 2022 al maggio del 2024, la Russia ha venduto alla Cina gas e petrolio per 194 miliardi di dollari. Per non parlare del progetto Power of Siberia 2, il gasdotto che dovrebbe raddoppiare quello inaugurato nel 2019 e dai giacimenti russi raggiungere la Cina passando per la Mongolia. Una specie di Nord Stream asiatico, con la stessa importanza strategica che aveva per i russi quello distrutto nel 2022.

Dal punto di vista politico, economico e anche militare (lo shopping in Cina aiuta molto la macchina militare russa) è stata questa la sfilata più significativa. Di sicuro quella da seguire con più attenzione.

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