
(Foto di EPA/SARAH YENESEL)
MONDO. Il discorso di Benjamin Netanyahu nell’aula delle Nazioni Unite, abbandonata per protesta dalla grande maggioranza dei delegati e animata solo dagli applausi di una ristretta claque di sostenitori, di per sé non è stato nulla di nuovo.
Lo show di un politico più che navigato, identico a quelli del passato, in questa stessa aula o al Congresso degli Usa: piccole trovate come il Qr Code alla giacca per scaricare il discorso, cartelli in favore di telecamere come quando, ormai molti anni fa, affermava che l’Iran stava per entrare in possesso della bomba atomica, bugie piccole e grandi e una ricostruzione della realtà (bombardare e devastare otto Paesi in un anno e mezzo significa difendersi) a cui ormai nessuno crede. Netanyahu parla come se nessuno sapesse che quelli di Hamas sono terroristi, come se nessuno avesse condannato le stragi del 7 ottobre 2023. Come se devastare il Medio Oriente e sterminare i palestinesi (quelli che capitano a tiro, non solo i miliziani) fosse una via originale verso la pace.
Eppure lo show di Netanyahu alle Nazioni Unite ha avuto un effetto: ha mostrato con chiarezza dove corre, oggi, il vero discrimine, il vero confine tra la civiltà e la barbarie, tra la corsa verso l’abisso e un reale progresso nelle relazioni tra i popoli
Eppure lo show di Netanyahu alle Nazioni Unite ha avuto un effetto: ha mostrato con chiarezza dove corre, oggi, il vero discrimine, il vero confine tra la civiltà e la barbarie, tra la corsa verso l’abisso e un reale progresso nelle relazioni tra i popoli. Tutti ormai hanno capito che nelle azioni dell’Israele guidato dal Governo Netanyahu non c’è più nulla che possa essere attribuito a motivazioni «nobili»: non è più la reazione rispetto alle stragi del 2023 né il desiderio di salvare gli ostaggi sopravvissuti finora né, tantomeno, il bisogno di difendere Israele e il suo popolo, visto che ormai è lunga la lista dei Paesi che si chiedono, al contrario, come difendersi da Israele. Per esempio la Siria, attaccata e occupata solo in nome del fatto che domani, eventualmente, ipoteticamente, a insindacabile giudizio di Netanyahu, potrebbe diventare un pericolo.
Tale presa di coscienza produce ormai reazioni quotidiane. Tardive, magari, ma evidenti. La Uefa discute di escludere la Nazionale e le squadre di Israele dalle competizioni internazionali. Bill Gates e Microsoft hanno deciso di non fornire più i loro servizi all’unità 8200 delle Forze armate di Israele, che li usava per lo spionaggio di massa sui palestinesi. Piccoli esempi, forse. Troppo poco e troppo tardi, forse. Ma uno dei sempre più frequenti segnali del fatto che la politica israeliana risulta ormai insopportabile a milioni e milioni di persone, a prescindere dalle decisioni che prendono i loro governi. Se la simpatia nei confronti di Israele in Europa è crollata ai minimi storici non è certo per solidarietà nei confronti di Hamas e dei suoi crimini.
A fronte di un fermento che cresce di giorno in giorno in quella che (di fatto ancor più che di nome) è la società civile, Netanyahu e il suo fondamentale sponsor, gli Stati Uniti, oppongono solo l’arroganza della forza. Posso fare questo, quindi lo faccio. Lo si vede anche dalle decisioni della Casa Bianca. Tanto parlare di tregua, prima con Joe Biden e ora con Donald Trump, ma una sola realtà: sempre più soldi e sempre più armi per Netanyahu. Washington sta per inviare altri 6,5 miliardi di dollari in armamenti, tra cui 30 elicotteri d’assalto Apache. Trump, che si vanta di aver fatto finire sei o sette guerre (il numero varia secondo la platea), non ha esitato a usare le bombe più micidiali per colpire l’Iran in una classica guerra preventiva. Teheran non aveva l’atomica, come invece dice da trent’anni Netanyahu, né era vicina ad averla. Eppure…
Se al fondo non ci fosse l’arroganza del potente, di chi maneggia la clava più pesante, non si sarebbe arrivati all’ultima, scandalosa proposta: affidare, dopo la vittoria di Israele, la gestione provvisoria della Striscia di Gaza a Tony Blair. Ovvero, all’uomo che con George Bush fu protagonista dell’invasione dell’Iraq, motivata con le menzogne sulle armi di distruzione di massa, causa prima della morte di centinaia di migliaia di iracheni. L’uomo, Blair, che dal 2007 al 2015, anche lì senza vergogna, fu l’inviato speciale del Quartetto (Onu, Usa, Ue e Russia) incaricato di trovare un accordo tra Israele e i palestinesi. In altre parole, uno dei demolitori del Medio Oriente dovrebbe gestirne le macerie. L’aula vuota dell’Onu di fronte a Netanyahu è la risposta impotente ma anche disgustata del mondo.
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