Terra Santa, pace vera
nelle parole del Papa

«Davvero pensiamo di costruire la pace distruggendo l’altro?». E poi: «L’odio e la vendetta dove porteranno?». Le domande potenti e perfette di Jorge Mario Bergoglio calano come un maglio sull’irresponsabilità di tutti oggi in Terra Santa. Ognuno scivola pericolosamente verso posizioni sempre più settarie e radicali ed è il sangue ad indicare la misura della politica, mentre ogni comunità si definisce solo per esclusione della comunità vicina. È il destino tragico di popoli che hanno bisogno costitutivamente di costruirsi un nemico per vivere. Le parole del Papa di ieri al Regina Caeli vanno al cuore della questione perché mettono al centro i bambini, che muoiono a decine sotto le bombe di Israele nella Striscia dell’apartheid, dove Hamas tiene prigioniera la popolazione. Uccidere i bambini e lasciarli uccidere è un messaggio chiaro.

E Francesco lo spiega: «Non si vuole costruire il futuro, ma lo si vuole distruggere». Hamas è il migliore alleato di Israele e viceversa. E questo uccide ogni prospettiva di pace, mentre frantuma anche il fragile equilibrio di convivenza tra arabi-israeliani ed ebrei-israeliani, risultato finale e tragico dell’approvazione tre anni fa della contestatissima legge costituzionale che definisce Israele come «lo Stato nazionale degli ebrei».

In questi anni si sono rafforzati gli estremismi, ma tutti hanno fatto finta di non capire, nutrendosi della retorica degli «accordi di Abramo». In realtà mai è stata accantonata l’idea della violenza come unico strumento politico a disposizione. Il Papa è il solo che ha cercato disperatamente di mettersi di traverso per fermare la corsa folle verso il baratro. Appena eletto ha convocato israeliani e palestinesi in Vaticano per fargli piantare insieme sotto l’occhio del mondo un ulivo, chiedendo di mettere da parte provocazioni e doppiezze. Non è mai accaduto. La cambiale in bianco che Israele continua a firmare con i coloni e la spregiudicatezza delle agende politiche di chi provoca e di chi risponde alle provocazioni non fa che alimentare la violenza, aggiungendo ogni volta alla spirale qualche elemento di novità. Oggi è la questione degli arabi-israeliani, faccenda non nuova. Lo scivolamento verso forme perverse di nazionalismo in Israele che sta sbaragliando l’indicazione chiara della Bibbia, libro del Deuteronomio, sulla salvaguardia e la protezione dei diritti dello «straniero che abita in mezzo a te», è il vero punto strategico della politica di Netanyahu. Ha fatto e disfatto alleanze, ha stretto accordi scellerati con la destra radicale religiosa, ha trasformato in cittadini di serie B i discendenti degli arabi rimasti nei loro villaggi dopo il 1948. In pratica ha annientato ogni ragionamento sulla cittadinanza e sulla fratellanza. E nessuno in Israele lo ha praticamente contestato, perché nessuno in Israele, nemmeno a sinistra, è mai riuscito veramente ad elaborare un’ idea di Stato che sia davvero inclusiva.

Hamas, che si è intestato l’ultima rappresentanza dei palestinesi, è perfettamente organico a questo disegno. Il punto cruciale e risolutivo sta qui. Il Papa ieri non ha fatto alcun accenno alla posizione diplomatica tradizionale della Santa Sede, quella dei popoli e dei due Stati. Come si è visto con l’apertura del nuovo fronte degli arabi-israeliani la soluzione due popoli e due Stati potrebbe non essere risolutiva. Il tema effettivo e reale è quello della fratellanza. Altrimenti ci troveremmo di fronte da una parte a due Stati che proseguono il conflitto e dall’altra ad uno Stato bi-nazionale, dove l’apartheid sarà la struttura costituzionale. L’unico che cerca di scongiurare tale prospettiva è il Papa. A tutti gli altri, comunità internazionale compresa, va bene così con la speranza che il conflitto almeno si congeli, vittoria della politica dei fatti compiuti e sconfitta della giustizia e della pace.

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