Territori abitati, il vero nodo ucraino

MONDO. La nuova «Strategia di sicurezza nazionale» degli Stati Uniti ha esplicitato ciò che era chiaro già dagli esordi del secondo mandato presidenziale di Donald Trump: archiviare ciò che c’è di Unione Europea, come delle altre organizzazioni sovranazionali, per trattare direttamente con i governi, che da soli sono più deboli.

Un nuovo ordine mondiale che rimette al centro le singole nazioni (e i nazionalismi sovranisti) come sfere di influenza dei tre imperi (Usa, Cina e Russia) e con i soli vincoli degli interessi economici e dei rapporti di forza militare. Ma nei giorni scorsi anche Vladimir Putin ha firmato la nuova «Strategia di politica nazionale dello Stato», un documento che ha come prospettiva temporale il prossimo decennio (lo zar ha emendato la Costituzione e potrà restare al potere fino al 2036) e che in Italia non ha avuto rilevanza mediatica: nel testo viene affermata l’idea di Russia come «Stato civiltà» con l’obiettivo di identificare il 95% di tutta la popolazione del Paese come russa, appunto entro il 2036, comprendendo anche i 3 milioni di ucraini in quel 18% di territori del vicino invaso occupati e annessi in parte già nel 2014. In quei territori infatti è in atto la russificazione forzata iniziata undici anni fa: chi non prende la cittadinanza degli occupanti perde casa, lavoro e assistenza sanitaria, è sottoposto - come denunciato in rapporti dell’Onu e della Croce Rossa internazionale - a carcerazioni arbitrarie, torture e sparizioni, a processi con l’accusa di «collaborazionismo con il regime di Kiev».

«Difendiamo persone, non territori»

Ieri Vladimir Putin, grande falsificatore della storia, ha ribadito che «il Donbass è russo, è un fatto storico». Ma venne russificato da Iosif Stalin trasferendo popolazioni perché regione già industrializzata, insieme alla Crimea dalla quale vennero deportati in Siberia 180mila tatari musulmani. Giustamente Volodymyr Zelensky ricorda che «difendiamo persone, non territori»: i crimini più gravi sono avvenuti e avvengono nei luoghi occupati dai battaglioni russi (da Bucha a Mariupol) e per questa evidenza la popolazione ucraina, che si oppone al proprio governo per altri aspetti, fra i quali la corruzione, è unita nel voler scongiurare l’occupazione. In virtù dei rapporti di forza, Kiev è disponibile a congelare il conflitto sull’attuale linea del fronte, ma Mosca pretende anche il 20% dei territori del Donbass già annessi ma non sotto il suo controllo. Nella regione i russofili chiedevano autonomia da Kiev, non un’invasione su larga scala, la distruzione di abitazioni e luoghi di lavoro e un destino sotto la Federazione russa. Il 1º dicembre 1991 il 91% degli ucraini votò a favore dell’indipendenza da Mosca, l’83% in Donbass e il 53% in Crimea.

Le garanzie di sicurezza

Il nodo di un possibile compromesso si gioca proprio sui territori, oltre che sulle garanzie di sicurezza per scongiurare altre future invasioni. Una nuova proposta è spuntata dai piani in continua correzione fra le parti: Kiev è disponibile a smilitarizzare quel 20% del Donbass che ancora controlla e dove, nell’oblast di Donetsk, ha costruito già dal 2014 fortificazioni per scongiurare sfondamenti verso Ovest. La tutela di quelle aree passerebbe a un contingente di soldati dell’Onu. Una proposta che difficilmente Putin accetterà perché deve incassare almeno la «Nuova Russia», il controllo totale delle terre annesse.

L’incontro con Meloni e il Papa

È più complicata la via di uscita da conflitti che hanno una forte natura ideologica per riportare la storia indietro. Consegnata nei fatti a Mosca dalla Casa Bianca, l’Ucraina mira a tenere unita l’alleanza europea occidentale. Ieri a Roma Zelensky ha incontrato Giorgia Meloni, dichiarando di «fidarsi» della premier: un’affermazione che evidenzia dubbi sulla tenuta della posizione italiana (nel dover ribadire la fiducia), con il governo stretto fra la nuova dottrina Trump che scarica l’Ue, e non dispiace alla Lega, e la dichiarata fedeltà europeista.

Il presidente ucraino in mattinata si è invece recato a Castel Gandolfo, accolto da Papa Leone XIV. Fra i temi toccati nel colloquio «non è mancato il riferimento alla questione dei prigionieri di guerra - si legge nel comunicato stampa della Santa Sede - e alla necessità di assicurare il ritorno dei bambini ucraini alle loro famiglie». Quelle migliaia di minori trasferiti a forza in Russia proprio dai territori occupati: la pace non è solo questione di terra.

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