
(Foto di Ansa)
ITALIA. Eugenio Giani, il governatore della Toscana che una gran parte del Movimento Cinque Stelle avrebbe voluto rottamare per accettare l’alleanza in Regione con il Pd, ha stravinto con il 54 per cento dei voti, distaccando di tredici punti Alberto Tomasi, il sindaco di centrodestra di Pistoia.
Al contrario, il partito di Conte segna in Toscana il suo minimo storico, scendendo a quota 4 e qualcosa per cento dal 7 che aveva cinque anni fa. Fa meglio Avs col suo 7 per cento, ben radicata nelle zone più rosse della ex rossa Toscana. Ma quel che è interessante è il dato della «Casa riformista», i moderati messi insieme da Renzi per sostenere Giani che toccano quasi il 9 per cento e diventano il secondo partito della coalizione dopo il Pd. Anche se qualche brivido di paura nel centrosinistra devono averlo avuto, terrorizzati da un possibile capitombolo dopo le sconfitte marchigiana e calabrese, ciò che veramente si aspettava era proprio il profilo del campo largo che sarebbe uscito da questo test sulle rive dell’Arno.
E il test dice che il Pd ha un alleato più forte nei riformisti che nei movimentisti che stanno trasformando l’alleanza in una sorta di sinistra radicale indistinta (quella che del trattato di pace firmato in Egitto chiedono il riconoscimento dello Stato di Palestina, ma non nominano il risultato del rilascio degli ostaggi da due anni rinchiusi nelle prigioni di Hamas). Ed è un elemento, questo, che si può facilmente dedurre proprio dalla stringatezza del commento di Giuseppe Conte che si congratula con Giani senza spendere più di qualche parola: del resto come nelle Marche e in Calabria, il M5S perde voti anche in Toscana, rivelando una tendenza che è largamente diffusa nel Paese e che lo rende via via sempre più ininfluente.
La Schlein esulta, e si capisce, anche per l’ottimo risultato del Pd regionale, che è più forte di Fratelli d’Italia, ma non si inoltra in un’analisi del voto in cui si dimostra che senza un appoggio riformista e di centrosinistra, la sinistra-sinistra che lei sta costruendo perde le elezioni (come del resto è sempre successo, a partire dal 1994 in poi).
Altro versante, gli sconfitti di centrodestra. Un po’ ci speravano di fare la tripletta ma non più di tanto: la Toscana di Giani non era realisticamente contendibile. Ci hanno provato contando sulle contraddizioni del campo largo, ma la partita era improba, come ha riconosciuto la stessa Giorgia Meloni. Molto interessante è l’equilibrio interno della coalizione. Se FdI è stabilmente il primo partito con più del doppio dei voti della somma dei suoi alleati, il secondo posto spetta ancora una volta alla moderata Forza Italia di Tajani che supera il 6 per cento, mentre sprofonda la Lega che dal 21 per cento delle regionali del 2020 si ferma a poco più del 4.
Ed è un risultato che deve essere attribuito tutto al generale Vannacci: è lui, coordinatore della campagna elettorale e costruttore delle liste riempite di suoi candidati, il vero sconfitto. La Lega «vannacciana» spostata più a destra dello stesso Salvini, messa alla prova elettorale subisce un’emorragia di voti. Salvini per un verso piange (dato il risultato), ma dall’altro ha un sospiro di sollievo, perché il «generalissimo» non riceve una spinta elettorale tale da insidiare la leadership del Carroccio. È un risultato cui guardano con interesse i governatori del Nord, tutti contrari all’innesto del fantasioso alto ufficiale, sempre più critici verso la gestione salviniana del partito, ma ancora indecisi sul da farsi. Quanto all’affluenza, un modesto 47,7 per cento, minimo storico.
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