Assegno di inclusione a 392 famiglie in più: «Ma ancora troppe quelle senza sussidi»

I DATI. I beneficiari aumentano del 13,5%, ma sono il 35% in meno rispetto al Reddito di cittadinanza. I sindacati: criteri stretti e la povertà si diffonde. L’assessore Messina: un paradosso le nuove regole sull’Isee.

Il tasso di disoccupazione ai minimi, la ricchezza del tessuto produttivo. Povertà e fragilità, tuttavia, esistono anche in un territorio dove gli indicatori economici brillano. La raccontano anche alcuni numeri, quelli delle misure a tutela dei più vulnerabili: l’ultimo miglio dell’Assegno di inclusione (Adi), il sussidio entrato in vigore dall’inizio del 2024 per prendere il posto del Reddito di cittadinanza (Rdc) e della Pensione di cittadinanza, evidenzia un aumento dei percettori in Bergamasca (+13,5% di nuclei, 392 famiglie in più), soprattutto per via dell’estensione del tetto Isee. Guardando al passato, a quel che accadeva col Reddito di cittadinanza, la platea cala però drasticamente (-35,1% di nuclei beneficiari): se da un lato una porzione di queste persone potrebbe essere stata assorbita dal mercato del lavoro, tra gli addetti ai lavori c’è la sensazione che vi sia comunque una quota di «esclusi» per via di regole più restrittive, rimasti senza paracadute.

I numeri

Stando ai nuovi dati dell’Inps, a giugno in Bergamasca si contavano 3.291 nuclei familiari beneficiari dell’Adi, per un totale di 6.223 persone coinvolte. Rispetto alla rilevazione di dicembre 2024, il balzo è significativo: i nuclei sono aumentati del 13,5% (allora erano 2.899) e le persone del 16,3% (erano 5.353, quindi 870 in più; il fatto che le persone crescano percentualmente più dei nuclei vuol dire che sono state raggiunte soprattutto le famiglie numerose). Non sono state diffuse cifre aggiornate sul Supporto formazione lavoro (Sfl), strumento complementare introdotto da settembre 2023 per l’«occupabilità» di una parte degli ex percettori del Reddito di cittadinanza, ma in Bergamasca si tratterebbe di poche centinaia di individui.

Ma cosa succedeva quando c’erano il Reddito e la Pensione di cittadinanza? La rete di sostegno sociale era più ampia. A giugno 2023 – periodo di piena ripresa occupazionale dopo le incertezze pandemiche – in provincia di Bergamo quelle misure erano percepite da 5.073 famiglie (8.987 persone in tutto). Oggi, invece, viene aiutato il 35,1% di famiglie in meno (e il 30,8% di persone in meno). Addirittura a giugno 2021, ma in uno scenario che ancora scontava i contraccolpi economici del Covid, il Reddito e la Pensione di cittadinanza andavano a 8.027 famiglie (16.686 persone). L’Assegno di inclusione è comunque più sostanzioso: è di 610 euro mensili in media, in lieve aumento su dicembre 2024 (era di 579 euro, +5,4%) e in decisa salita rispetto al Reddito e alla Pensione di cittadinanza (+27,9% rispetto ai 477 euro di giugno 2023).

Gli «esclusi»

Sulla dinamica dell’estensione recente della platea, pochi dubbi: la legge di bilancio ha alzato il tetto Isee da 9.360 a 10.140 euro, e «le modifiche hanno consentito un ampliamento dei percettori – rileva Orazio Amboni, del Dipartimento Welfare della Cgil Bergamo -. È positivo, ma si resta molto lontani dalla copertura assicurata dal Reddito di cittadinanza». Anche per Candida Sonzogni, della segreteria provinciale della Cisl, «è evidente che innalzando la soglia Isee sia stata inclusa qualche famiglia in più: era un dato atteso, ma servono riflessioni ulteriori». Quali? «Di fatto – ragiona Sonzogni -, ancorché parzialmente accomunate nelle finalità, le differenti condizioni di accesso ad Adi e Rdc hanno portato a una riduzione delle famiglie raggiunte, facendo dell’Adi non una prestazione universalistica in relazione alla condizione di povertà attestata da un certo livello di Isee, ma una misura destinata a nuclei sì deboli economicamente ma con condizioni soggettive specifiche, più meritevoli di sostegno secondo il legislatore».

Questo perché, come noto, l’Adi non si fonda solo sull’Isee: per percepirlo occorre anche che il nucleo familiare abbia almeno un componente in situazione di disabilità, oppure minorenne, oppure over 60, oppure in carico ai servizi sociosanitari territoriali. Insomma, resta una fetta di «dimenticati»: «Non è un caso se i servizi sociali dei comuni hanno lanciato più volte l’allarme sul diffondersi della povertà, soprattutto nelle famiglie monogenitoriali con bambini», ribadisce Amboni. Per Pasquale Papaianni, coordinatore territoriale della Uil, «è difficile trarre valutazioni su uno strumento come questo in un territorio con la disoccupazione ai minimi. Se da un lato c’è una costante ricerca di personale, e lo dimostra il fatto che le imprese vanno a cercare lavoratori all’estero, dall’altro lato esiste una parte di popolazione che necessita ancora di un sussidio».

«Rischio paradosso»

La «forte riduzione della platea di beneficiari dell’Adi rispetto al Reddito di cittadinanza» è notata anche da Marcella Messina, assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo: «Vi è inoltre un aumento considerevole delle persone sopra i 60 anni che percepiscono l’Adi, pari al 56% dei beneficiari a Bergamo, con le quali non vi è alcun obbligo di monitoraggio dei servizi sociali o di attivare progettualità personalizzate». I dati sulla città, spiega Messina, indicano che «l’importo medio è tra i 400 e i 600 euro per nucleo, ma meno del 15% dei beneficiari supera gli 800 euro, anche qui con una riduzione rispetto al Reddito di cittadinanza». Altra criticità: «Il cambio della normativa Isee, che elimina dal calcolo i titoli di Stato, i buoni fruttiferi postali e i libretti di risparmio postale fino a un massimo di 50.000 euro – ricorda Messina -, rischia di creare la situazione paradossale di sostenere economicamente persone che in realtà hanno risparmi economici non utilizzati e di lasciare indietro chi è più povero e senza risparmi».

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