
(Foto di Bedolis)
PALAZZO FRIZZONI. In Consiglio comunale la relazione della Garante, Valentina Lanfranchi. Il documento votato all’unanimità: «Più personale per la penitenziaria, ma anche educatori e risorse ai progetti di reinserimento».
C’è un quartiere invisibile dove vivono quasi mille persone. È circoscritto da un muro di cinta affacciato su via Gleno: lo abitano circa 600 detenuti (il 6 ottobre si è eguagliato il record negativo con 605 reclusi, contro i 319 posti regolamentari), con un tasso di affollamento che lambisce il 190%, e ci sono circa 200 agenti di Polizia penitenziaria (ma dovrebbero essere una quarantina in più). E poi, con loro, anche i funzionari amministrativi (14 sui 23 previsti), gli educatori (solo 4 sui 6 della pianta organica), il personale sanitario, i religiosi, i volontari.
Se la casa circondariale è come un pezzo di città, anche il Consiglio comunale di Bergamo prova a farsene carico, con un grido d’allarme che da Palazzo Frizzoni prova ad arrivare a Roma. Ieri, l’aula ha approvato all’unanimità due ordini del giorno sulla situazione del carcere di Bergamo: in una lunga serie di punti, si sollecitano il governo e il ministero della Giustizia «affinché vengano colmate le carenze di organico di educatori e Polizia penitenziaria all’interno della Casa circondariale di Bergamo e vengano incrementate le risorse destinate all’amministrazione penitenziaria, con particolare riferimento ai progetti di reinserimento sociale e alle postazioni di lavoro interne ed esterne agli istituti».
A favorire la discussione è stata la relazione di Valentina Lanfranchi, garante dei detenuti nominata dal Comune di Bergamo: «Mi occupo di questi temi dal 1979 – la sua premessa -, da allora i problemi sono sempre gli stessi: il sovraffollamento è il primo. Non si devono costruire nuove strutture, bisogna invece evitare che ci entri chi ha commesso minuzie e
«Così la situazione attuale non è sostenibile e non si garantisce il compito rieducativo previsto dalla Costituzione: l’organico della Polizia penitenziaria, che svolge una delle funzioni più delicate perché a contatto costantemente con i reclusi, è insufficiente, e così anche per chi ha funzioni pedagogiche»
occorre ampliare il ricorso alle misure alternative. Così la situazione attuale non è sostenibile e non si garantisce il compito rieducativo previsto dalla Costituzione: l’organico della Polizia penitenziaria, che svolge una delle funzioni più delicate perché a contatto costantemente con i reclusi, è insufficiente, e così anche per chi ha funzioni pedagogiche. Nonostante queste difficoltà ci sono però molte attività in carcere grazie all’impegno di associazioni, volontari, istituzioni, avvocati, sindacati, Caritas, cappellani e suore».
Un’immagine apre l’intervento di Fausto Gritti, presidente dell’associazione Carcere e Territorio: «Oggi entrare nella casa circondariale di Bergamo fa venire i brividi». Lo scorso anno questa storica realtà ha concretizzato oltre 100 percorsi di reinserimento lavorativo, «e ciò significa anche sicurezza sociale – ricorda Gritti -, perché la recidiva diventa bassissima. L’occasione per svuotare il carcere è l’applicazione delle misure alternative, dopo aver scontato una parte della pena: bisogna però avere disponibilità di casa e occupazione». A più riprese scorre una delle criticità più forti: i «giovani adulti» – gli ospiti tra i 18 e i 25 anni non compiuti – sono ormai una sessantina, in escalation perenne dopo il Decreto Caivano, e sovente convivono con disagio psichico o tossicodipendenza.
Si è passati al dibattito su due ordini del giorno collegati. Il primo, scritto dalla maggioranza e concordato con l’opposizione, metteva al centro il confronto con chi opera in carcere e il richiamo a interventi governativi per il potenziamento del personale: «Vogliamo ribadire l’attenzione verso una realtà che spesso rimane distante dagli occhi della politica e della cittadinanza», è stata la premessa di Laura Brevi (Futura-Avs-Oltre) presentando il documento. Il secondo, illustrato da Francesca Riccardi (Pd) e firmato anche dagli altri capigruppo di maggioranza,, propone che «sindaco e giunta riconoscano formalmente il carcere al pari degli altri quartieri della città e il diritto ai consiglieri di accedere all’istituto (analogamente a quanto previsto per parlamentari e consiglieri regionali, ndr) nel rispetto delle normative e in coordinamento con le autorità competenti». Sempre tra le fila del centrosinistra, Paola Rossi (Bergamo Europea) pone l’attenzione sulla «scarsità di personale dedicato alla fragilità psicologica», mentre Silvia Gadda (Pd) chiede un maggior ricorso all’articolo 21 (la normativa che consente il lavoro esterno), con Aldo Lazzari (Futura-Avs-Oltre) che parla di «sistema che punisce la povertà». Nel centrodestra, che vota sì a entrambi gli Odg, Alberto Ribolla (Lega) rimarca però la necessità della certezza della pena e che «i detenuti stranieri scontino la pena nel Paese d’origine»; Cristina Laganà (FdI) ricorda il piano carceri nazionale che promette 10mila nuovi posti entro il 2027. Sulla scorta dell’esperienza da penalista, Andrea Pezzotta (Lista Pezzotta) ringrazia Lanfranchi «per l’impegno quotidiano per il carcere». Sono diverse le iniziative sostenute dal Comune, le ricorda Marcella Messina: «Abbiamo una grande responsabilità nel curare la persona all’interno e immaginarla all’esterno – sottolinea l’assessore alle Politiche sociali -: questo è il nostro compito, pensare a un progetto di recupero e di riconciliazione con la comunità».
La sindaca Elena Carnevali, che nei giorni scorsi ha incontrato Antonina D’Onofrio, direttrice della casa circondariale, racconta di un «dialogo costante» con tutti coloro che orbitano attorno a questo mondo: «La questione dei giovani adulti è centrale – rimarca la sindaca -. Attenzione, perché così si rischia che questo sia il luogo in cui imparano la criminalità: con tassi di sovraffollamento simili, è difficile garantire sicurezza e rieducazione».
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