L’appello delle «Croci»: «Volontari, fatevi avanti»

L’EMERGENZA. In calo il numero di chi presta tempo e impegno per garantire
le attività delle associazioni di soccorso: «Resistiamo, ma siamo in pochi».

La difficoltà nel trovare nuovi volontari è ormai una costante. Non più un’emergenza, ma una condizione cronica che peggiora negli anni e logora silenziosamente le «Croci» e le associazioni di soccorso della provincia di Bergamo. Le ambulanze continuano a muoversi, i servizi non si fermano, ma a sostenerli sono sempre le stesse persone: sempre meno, sempre più generose.

Le ambulanze continuano a muoversi, i servizi non si fermano, ma a sostenerli sono sempre le stesse persone: sempre meno, sempre più generose

«Il nostro gruppo di Calcinate conta una cinquantina di volontari, e facciamo parte del Comitato Bergamo Hinterland che ne ha circa 1.300-1.400 – racconta Giorgio Lamperti, referente locale della Croce Rossa –. Nelle 13 unità del comitato ci sono nove postazioni h24 o h12 e con i soli volontari non ce la si fa, soprattutto in settimana e negli orari notturni».

«Fare il volontario vuol dire sacrificarsi a livello personale, familiare, di tempo libero»

Lamperti parla con l’autorevolezza di chi da trent’anni tiene insieme turni, persone e motivazioni: «Il volontariato oggi rispecchia la società. Ci sono tanti che vorrebbero dare una mano, ma pensano significhi farlo quando vogliono loro. Invece significa esserci quando serve, rinunciare a un sabato sera o a una domenica, accettare le regole e i bisogni dell’associazione. Non è sempre facile da far capire. Fare il volontario vuol dire sacrificarsi a livello personale, familiare, di tempo libero». Il problema, aggiunge, non riguarda solo i giovani: «C’è chi entra e dopo poco abbandona per motivi di studio o lavoro, e chi arriva alla pensione troppo tardi per potersi dedicare davvero. Quarant’anni fa si andava in pensione a 50 anni e si avevano davanti 10 o 15 anni di attività possibile. Oggi un pensionato sotto i 60 è raro».

Negli ultimi sette anni mettiamo a disposizione tutti i giorni una o due ambulanze dedicate a questi servizi: è possibile grazie a un gruppo di una decina di pensionati molto presenti, e copriamo interventi sul territorio ma anche in tutta Italia, talvolta all’estero». Un equivoco pesa più di altri

A Calcinate, oltre all’emergenza, il gruppo copre anche altri bisogni: «Facciamo servizio durante le manifestazioni sportive, trasporti secondari per dimissioni, ricoveri e visite mediche. Negli ultimi sette anni mettiamo a disposizione tutti i giorni una o due ambulanze dedicate a questi servizi: è possibile grazie a un gruppo di una decina di pensionati molto presenti, e copriamo interventi sul territorio ma anche in tutta Italia, talvolta all’estero». Un equivoco pesa più di altri: «Tanti vedono solo l’ambulanza del 118 come se fosse l’unica attività. Invece le cose utili da fare sono molte: dal trasporto infermi all’assistenza agli eventi. Ma bisogna accettare di fare ciò che serve, non solo ciò che si vuole».

A Lovere, la presidente della Croce Blu, Oriana Macario, ha sottomano numeri e volti di questa difficoltà: «Vent’anni fa avevamo file di persone ai corsi, oggi arrivano in pochi e restano ancora meno. Per fortuna il Servizio civile universale ci aiuta: ogni anno sette-otto ragazzi ci permettono di coprire i servizi secondari, ma poi se ne vanno. Senza i volontari non riusciremmo a fare nulla». L’associazione, che nel 2024 ha festeggiato i quarant’anni, gestisce un’ambulanza h24 in convenzione con il 118 e diversi mezzi per trasporti sanitari e assistenza a manifestazioni. «Nel 2024 abbiamo fatto 1.885 servizi d’urgenza, 1.195 trasporti sanitari secondari e 141 assistenze a eventi. In totale oltre 120mila chilometri percorsi. Come numero di volontari siamo ancora attorno ai 140, ma il problema è la disponibilità: chi lavora non riesce, e chi può regge tutto il peso. I volontari oggi fanno due, tre, quattro turni al mese: troppo pochi per coprire tutto». Il parco mezzi è calibrato per non lasciare buchi: un’ambulanza dedicata al 118 h24, una di backup per l’emergenza e altre due per i secondari; accanto, due Doblò per accompagnamenti di persone non barellabili.

«C’è chi entra e dopo poco abbandona per motivi di studio o lavoro, e chi arriva alla pensione troppo tardi per potersi dedicare davvero. Quarant’anni fa si andava in pensione a 50 anni e si avevano davanti 10 o 15 anni di attività possibile. Oggi un pensionato sotto i 60 è raro»

Alberto Grigis, dei Volontari Selvino Aviatico, conferma che il calo non è solo numerico, ma soprattutto di tempo offerto. «Siamo una settantina, ma le ore che ciascuno dedica sono sempre meno. I giovani entrano, si entusiasmano, ma tra università e lavoro abbandonano presto. È un ciclo continuo». Per invertire la rotta si riparte dalla formazione: «Abbiamo appena avviato un corso per nuovi volontari. La fascia è polarizzata: giovanissimi e pensionati, i primi motivati ma incerti sul futuro, i secondi arrivano più tardi e con meno anni a disposizione».

A pesare è la questione delle responsabilità: «Negli ultimi trent’anni le norme sono aumentate, e se da un lato aiutano a garantire qualità, dall’altro imbrigliano e scoraggiano – sottolinea ancora Lamperti –. Oggi la denuncia è all’ordine del giorno. E molti si chiedono: “chi me lo fa fare?”». Il timore non è astratto: tra burocrazia, modulistica, procedure e tempi scanditi, la spontaneità del dono rischia di trasformarsi in adempimento, e la motivazione si assottiglia. Non è solo una frase di sfogo: è il sintomo di un disagio più profondo, quello di chi teme di sbagliare in un contesto dove il confine tra errore e colpa è sempre più sottile. In mezzo ci sono gli stessi volontari che continuano a esserci, a coprire i turni. La tenuta del sistema oggi non dipende dal numero assoluto (l’elenco dei volontari è a uso degli addetti alla formazione Areu), ma dalla costanza di poche persone. Dietro ogni sirena resta però la sostanza di un gesto antico, che ancora tiene in piedi un pezzo di provincia: «Fare il volontario – conclude Lamperti – significa capire che non lo fai per te, ma per gli altri. Non quando vuoi, ma quando serve». E forse sta tutta qui la sfida del futuro: non solo trovare nuove mani, ma restituire significato al volontariato come scelta civile, non come ritaglio di tempo.

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