L’omaggio dei pellegrini bergamaschi a San Vincenzo de’ Paoli

IL PELLEGRINAGGIO. A Parigi sulle orme del santo. L’invito del vescovo ad essere comunità accogliente. «Le istituzioni trovino soluzioni per il bene comune».

A Parigi tutto è imponente, amplificato, sontuoso e anche un pochino ampolloso. Visitando la città si capisce subito che la «grandeur» non è un appellativo inventato. Qui tutto comunica l’orgoglio nazionale. Tutto è giocato in grande. Una dimensione che ieri i pellegrini bergamaschi nella quinta tappa del viaggio con il vescovo Francesco Beschi hanno potuto ammirare nel tour della capitale francese che si prepara a vivere la festa nazionale del 14 luglio tra parate militari, concertone e fuochi all’ombra della Torre Eiffel. Nella sua laicità orgogliosamente ostentata, Parigi è però in grado di offrire anche spazi di profonda religiosità come la Basilica del Sacro Cuore a Montmartre dove 24 ore su 24 si adora l’Eucarestia, la chiesa delle Figlie della carità in Rue de Bac dove la Madonna, nota per la Medaglia miracolosa, apparve a Caterina Labouré e la Cappella di San Vincenzo de’ Paoli in Rue de Sèvres dove è conservato ed esposto il corpo del santo della carità.

Nella grande Parigi ci sono dunque angoli dove «Dio – ha detto don Gianluca Salvi, direttore dell’Ufficio pellegrinaggi della diocesi – rende grande il piccolo, anzi grandissimo. Così conosciamo Caterina affascinata da San Vincenzo a tal punto da ricevere la visione del suo cuore infiammato dall’amore per il prossimo e San Vincenzo che ha dato la sua vita per i poveri di questa città dove morì nel 1660. A Parigi era talmente amato che nella rivoluzione del 1789, mentre tutte le chiese venivano devastate e profanate, quella di San Vincenzo fu preservata perché il popolo francese lo riteneva uno di loro. Non capivano la sua fede, ma la sua carità sì».

Proprio carità è la parola chiave sulla quale monsignor Beschi ha offerto la sua riflessione ai pellegrini bergamaschi riuniti nella chiesa di San Vincenzo. Il vescovo ha citato il comandamento dell’amore di Dio che è inseparabile da quello dell’uomo e ha aggiunto: «I volti della carità sono infiniti, assume tratti molteplici e questi incalcolabili modi della carità sono il riflesso di ciò che noi riceviamo da Gesù, cioè Dio stesso è carità e amore». La carità quindi, pur essendo una dimensione personale, non può ridursi a un gesto, non è solo un segno verso chi ha bisogno. «Non possiamo limitarci ad aiutare. Qui si tratta di amore e l’aiuto è una forma di amore, ma l’amore è più grande dell’aiuto. Certo non può essere solo parola e non gesto, altrimenti ci illudiamo di fare carità, però non deve esaurirsi nel segno. La carità ci consente di amare come Dio attraverso lo Spirito Santo». A questo proposito il vescovo ha preso ad esempio la comunità bergamasca che non smette mai di meravigliare per la sua generosità, eppure ha il difetto di manifestarsi soprattutto nel momento del bisogno, poi finito il momento ognuno torna a se stesso smettendo di vivere la dimensione comunitaria della carità.

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«È importante dare una testimonianza di amore fraterno. Chi si avvicina alla Chiesa deve sentire questa testimonianza di attenzione, di appartenenza a una famiglia e a una comunità accogliente». Per esercitare la carità ci sono tante realtà, dalla Caritas alla San Vincenzo, ma tutte «non ci esimono dall’amare. La San Vincenzo che è nata dal santo che oggi preghiamo in questa chiesa a Parigi è dimensione di una grande storia di carità, ma non fa più solo assistenza, coinvolge coloro che hanno bisogno, ascolta, condivide, fa un pezzo di strada insieme a chi chiede aiuto, fa sentire persone prima che bisognosi». Da sempre l’uomo ha bisogno di essere amato, di avere qualcuno che lo guarda con occhi diversi, carichi d’affetto. «E proprio per questo motivo – ha detto il vescovo ricordando un episodio personale con un clochard che gli aveva chiesto i soldi del biglietto del treno –, quando siamo in dubbio nell’aiutare, lasciamoci provocare perché nella carità c’è innanzitutto amore». Accanto alla dimensione divina, personale e comunitaria della carità, si aggiunge anche quella che cerca di ispirare un cambiamento nella società. «La carità, come la fede, non è privata. Può favorire una società più umana affinché chi ha responsabilità istituzionali possa trovare soluzioni per il bene comune».

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Al termine della riflessione nella chiesa di San Vincenzo de’ Paoli, monsignor Beschi ha raccontato un aneddoto legato alla propria famiglia che ha reso il momento di preghiera ancora più sentito da parte dei pellegrini: «Sono particolarmente legato a San Vincenzo e alle suore Figlie della carità perché quando sono nato mi sono trovato tra le braccia di suor Anna, proprio di quest’ordine, che ai miei tempi era riconoscibile perché le religiose portavano un grande copricapo con due punte. Poi sono nati altri miei due fratelli, tutti con l’aiuto di suor Anna, ma al quarto lei mi disse: se sarà ancora un maschio lo chiamerete Vincenzo, e così è stato. Poi è arrivata mia sorella e – sorridendo ha detto – abbiamo riportato equilibrio in famiglia». Uno spaccato di vita del vescovo favorito dal legame con San Vincenzo ma anche dal clima fraterno e di amicizia che si è creato tra i pellegrini. Anche questo, un’espressione di Chiesa testimone felice di appartenere a una grande famiglia

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