Ogni cento pensionati ci sono 122 lavoratori, il rapporto si assottiglia

I DATI. In dieci anni si sono persi una ventina di stipendi nei confronti degli assegni. La Cisl: «Equilibrio molto delicato, investire sulla natalità».

In 39 province italiane ci sono più pensionati che lavoratori. Il territorio bergamasco tiene - conta 122 lavoratori attivi ogni cento pensionati - ma le prospettive non sono rosee, perché anche qui il sorpasso potrebbe arrivare già nel prossimo decennio. È l’analisi della Cisl, sui dati Inps e Istat. Nei giorni degli «Stati generali della natalità», tornano quindi a intrecciarsi i temi della demografia e del lavoro. Il calo demografico è infatti tra le principali cause che concorrono a ridurre la fascia in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva, con il rischio di un collasso del sistema pensionistico.

La classifica

Bergamo, con 122 stipendi che «pagano» cento pensioni, è 23ª nella classifica nazionale. Nel quadro regionale, la nostra provincia è alla pari con Como e arriva dopo Brescia (135 su 100), Lodi (134 su 100) e Milano (133 su 100). La situazione rispetto alla media nazionale è ancora rosea.

«Bergamo tiene, ma l’invecchiamento, che è il fattore principale di questa situazione, pesa anche qui»

Secondo l’indagine, infatti, in Italia ogni 100 pensioni Inps ci sono 111 lavoratori attivi, un numero che scende a 103 se si escludono i professionisti che versano i contributi alle Casse private. Inoltre, nell’elenco delle province con più pensioni, emerge che in 39 territori su 107, quasi tutte al Centro Sud, i lavoratori sono meno di coloro che percepiscono assegni previdenziali. Il rapporto è di 1,4 lavoratori per 1 pensionato, e fra circa dieci anni per le prospettive demografiche il rapporto si abbasserà a 1,3. Se questo numero non si attesta almeno a 1,5 si rischia quindi il collasso delle casse Inps. «Bergamo tiene – conferma Danilo Mazzola, segretario Cisl Bergamo – ma l’invecchiamento, che è il fattore principale di questa situazione (basti pensare che a livello nazionale gli over 50 rappresentano già il 39% degli occupati, ndr), pesa anche qui. Il lato positivo è che si vive di più, però è chiaro che il sistema, rispetto a qualche anno fa, vive un equilibrio particolarmente delicato».

In dieci anni si sono «persi» una ventina di stipendi nei confronti degli assegni pensionistici

Lo «storico» dimostra infatti la tendenza in atto. In dieci anni si sono «persi» una ventina di stipendi nei confronti degli assegni pensionistici: Bergamo contava, nel 2014, 450mila lavoratori attivi per 318mila pensionati (141 su 100). E in dieci anni anche la «qualità» dei contributi pagati è scesa, di pari passo con l’alzarsi dei contratti «poveri». Se si analizzano i dati anagrafici della popolazione bergamasca – osserva il sindacato di via Carnovali – «nel 2002 il rapporto tra attivi (da 14 a 64 anni) e over 65 era di 435 su 100. Al primo gennaio 2023, il rapporto è calato a 291 “under” ogni 100 “over”. Avanti così, il sorpasso potrebbe arrivare già nei prossimi 10 anni, e non tutti i residenti sotto i 65 anni lavorano».

Le sfide

Per Mazzola sono due le questioni principali che devono trovare un punto d’incontro. «Da una parte le aziende cercano lavoratori con specifiche professionalità, ma faticano a trovare la manodopera qualificata – spiega –. Dall’altra assistiamo alla denatalità e all’invecchiamento della popolazione. In questo modo non riusciamo ad avere un ricambio generazionale per sostituire i lavoratori che invecchiano». Concorda Giacomo Meloni, segretario generale di Fnp Cisl provinciale: «Calo delle nascite e difficoltà di reperimento della manodopera sono i refrain che la politica mette in campo per puntare decisa verso la riforma delle pensioni, contemplando tra le possibilità praticamente il solo innalzamento dell’età pensionabile, oltre ai continui mancati adeguamenti degli assegni. È lampante – sostiene – che non sia il modo migliore per affrontare la questione».

«Continuare a insistere nel mantenere in attività persone sopra i 65 anni non fa bene al lavoro e alla salute»

Per invertire il trend, secondo il sindacato, servono una vera riforma della previdenza e investimenti su giovani e famiglie. «Continuare a insistere nel mantenere in attività persone sopra i 65 anni non fa bene al lavoro e alla salute – aggiunge Meloni –, mentre senza investimenti su famiglie e giovani nessuna riforma sarà in grado di reggere alla sfida con il tempo, anche molto prossimo». Anche Mazzola spinge «per politiche a sostegno delle famiglie e della natalità» e invita a considerare l’apporto positivo che l’immigrazione può dare «se controllata con percorsi definiti di integrazione-lavoro».

La riforma delle pensioni

Aspetti su cui la Cisl non mancherà di fare pressing sul governo. «Sicuramente gli interventi messi in atto nei ultimi mesi dal governo, in particolare su opzione donna, che ne ha fortemente limitato l’accesso, e sul taglio ai finanziamenti ai fondi stanziati per l’anticipo pensionistico Ape social, vanno nella direzione contraria a una riforma della previdenza presentata al governo da Cgil, Cisl e Uil a gennaio 2023», osserva Mazzola. E il segretario dei pensionati Cisl ricorda: «Di riforme delle pensioni, a partire dalla riforma Dini del 1995, ne sono state fatte tante e proprio in prospettiva della tenuta fra lavoratori dipendenti e pensionati si è passati dal sistema retributivo a ripartizione al sistema misto, per arrivare al contributivo per tutti con la riforma Fornero, che ha attivato una scelta che genererà in futuro pensioni molto basse, con forti ripercussioni sul tessuto sociale. Per noi, la priorità è una pensione adeguata al costo della vita per tutte le generazioni».

© RIPRODUZIONE RISERVATA