
(Foto di Ansa/Matteo Bazzi)
LA TESTIMONIANZA. «Mi ha urlato “Ho paura”. Mi confidava che lui la picchiava e vessava da un anno».
«È stato un film dell’orrore per me. E chissà per lei, povera Pamela. Ero al telefono con lei, quando quel mostro è entrato in casa di Pamela. Lei ha sentito il rumore delle chiavi nella toppa, quello stava aprendo la porta con il duplicato che si era procurato in segreto. Pamela mi ha detto: “Aiuto, aiuto, ho paura: questo è pazzo”. Poi la telefonata si è interrotta. Forse non voleva farsi sentire da lui e così mi ha mandato un messaggio: “Chiama la polizia”».
Ha gli occhi arrossati da una notte insonne (8 ore è durata la sua preziosa deposizione alla polizia) e la voce rotta, questo quarantenne di Sant’Omobono, fino a due anni fa fidanzato con Pamela Genini. «Negli ultimi 12 mesi lei aveva ricominciato a contattarmi. Mi confidava le violenze psicologiche e fisiche che da un anno era costretta a subire da quel mostro. Lei si stava organizzando per lasciarlo. Era andata a vivere da sola e voleva andarsene da Milano, ma lui minacciava: “Se mi lasci, ammazzo te e la tua famiglia”», racconta l’ex.
«Perché si fidava di me in quanto le avevo dimostrato tante cose. E perché quello le aveva fatto terra bruciata attorno, cercando di allontanarla dal lavoro e dagli amici. Pamela aveva tenuto nascoste alla sua famiglia le minacce perché non voleva spaventarla. E così si confidava con me».
«Le ho consigliato di scappare, di denunciarlo».
«Nei primi periodi mi diceva che sperava che quello smettesse con le vessazioni. “Riuscirò a farlo cambiare”, mi diceva. Ma secondo me era anche un po’ spaventata dal fatto che un atto forte come una denuncia avrebbe scatenato in lui una reazione ancor più violenta. Io però ho capito subito la situazione: “Guarda che finisce male”, le dicevo»».
«Secondo me è stato il fatto che lei ha improvvisamente bloccato tutti i contatti con lui. Non gli rispondeva più al telefono, lo aveva bloccato sui social e su whatsapp. Deve essersi sentito perduto e ha reagito da mostro, quale è. Io a Pamela l’avevo detto: “Sopporta ancora qualche giorno i suoi tentativi di contattarti, bloccalo solo dopo che te ne sei andata da Milano e hai fatto perdere le tue tracce”. Ancora una notte e si sarebbe salvata».
«Perché avrebbe lasciato Milano».
«Questo non ve lo posso dire». In un’intervista al Tg 1 il 40enne accennerà a un trasferimento all’estero; Pier Giuseppe Rota, compagno della madre di Pamela, a L’Eco ieri ha spiegato che la 29enne stava acquistando casa a Strozza per stare vicino alla famiglia.
«Sia ben chiaro: in quello che è successo, Pamela non ha la minima responsabilità. Era un suo diritto troncare i rapporti, e quando lo decideva lei».
È un omicidio premeditato, anche perché nell’auto lui aveva un borsone con i vestiti. Sarebbe scappato dopo averla uccisa. Invece Pamela era al telefono con me e mi ha detto di dare l’allarme, è così che l’hanno preso»
«Forse perché si sentiva al sicuro, chiusa a chiave dentro al suo appartamento. Ma quello aveva fatto il duplicato delle chiavi . Lui e lei dovevano salire a Strozza un giorno delle scorse settimane, ma lui ha finto di non stare bene ed è rimasto nell’abitazione. Pamela è andata a trovare i suoi genitori ed è in quel frangente che, secondo me, quell’uomo è uscito per farsi duplicare le chiavi. È un omicidio premeditato, anche perché nell’auto lui aveva un borsone con i vestiti. Sarebbe scappato dopo averla uccisa. Invece Pamela era al telefono con me e mi ha detto di dare l’allarme, è così che l’hanno preso».
«Cercavo di aiutarla in tutti i modi. Ma, alla luce di quanto è successo, forse ho sbagliato a non rivolgermi alle forze dell’ordine. Bisogna denunciare. Noi persone normali non abbiamo gli strumenti per contrastare i mostri. Ora spero che sia fatta giustizia e che queste cose non accadano più».
«Perché, anche quando è arrivata la polizia, ha continuato a colpire Pamela con il coltello».
«Pamela era affascinata dagli uomini maturi forse perché ha perso come punto di riferimento la figura paterna (il papà dal 2008 è in stato vegetativo dopo un infortunio sul lavoro, ndr) quand’era ragazzina».
«Una ragazza solare. Ci eravamo conosciuti 7 anni fa. Ci siamo frequentati per un paio danni. Ultimamente voleva laurearsi in Psicologia per aiutare se stessa e gli altri. Martedì sera era appena tornata con un’amica da Lugano, dove era stata per informarsi su un corso universitario»
«Una ragazza solare. Ci eravamo conosciuti 7 anni fa. Ci siamo frequentati per un paio danni. Ultimamente voleva laurearsi in Psicologia per aiutare se stessa e gli altri. Martedì sera era appena tornata con un’amica da Lugano, dove era stata per informarsi su un corso universitario».
«Le ho risposto: “Sto arrivando”, ho chiamato il 112 e mi sono messo in auto guidando come un pazzo fino a Milano. La speranza era di trovarla ancora viva. Ma non sono arrivato in tempo. Quando sotto casa sua ho visto ambulanze e polizia ho capito che era finita male».
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