Il secolo in polvere e un nuovo ordine

«Secolo breve», cosi lo storico inglese Eric Hobsbawm aveva definito il Novecento, squassato da due rovinosi conflitti mondiali, che - oltre ai caduti in guerra - avevano visto milioni di morti tra le popolazioni civili, nonché il genocidio del popolo ebraico voluto ha Hitler. Il tempo presente sembra avere le fattezze del «secolo in polvere». Numerosi esempi si connettono a tale visione d’insieme. Il 2001 con la polverizzazione delle Torri gemelle a New York; il fenomeno delle migrazioni di massa che (oltre a produrre decine di migliaia di morti) polverizza popoli inghiottiti dal mare, dal freddo, dalla fame. Da ultimo, per ora, la dissennata guerra scatenata da Valdimir Putin contro l’Ucraina.

I governanti del mondo intero sembrano incapaci di fronteggiare fenomeni sempre più somiglianti a slavine, che si ingigantiscono mano a mano che procedono. E nulla sembra in grado di fermarle. L’invasione voluta e preparata con chirurgica sapienza da Putin evoca tristi ricordi legati all’annessione dell’Austria da parte di Hitler nel 1938. Allora le democrazie occidentali sottovalutarono le mire espansionistiche della Germania. Oggi, per fortuna, tanto gli Usa, quanto l’Unione europea hanno fatto sentire la loro voce. Ma tutto ciò, al momento, non è valso quasi a nulla. Certo il dittatore russo non è riuscito - come sperava - di schiacciare l’Ucraina con una guerra lampo. Ma la polverizzazione di quel Paese procede, sostenuta dalla polvere da sparo di missili ed artiglieria terrestre. Finora i governi delle democrazie occidentali si sono mossi, condannando senza mezze misure l’invasione e cercando, quasi spasmodicamente, di arginare il conflitto in corso mediante lo strumento (certamente utile e prezioso) della diplomazia. Con risultati al momento piuttosto limitati. L’opinione pubblica nei Paesi democratici ha espresso condanna ed esecrazione. Fattore sicuramente importante, soprattutto perché ad esso si è aggiunta l’azione di soccorso attraverso beni materiali e armamenti. La parola «pace» si è levata da tutte le parti: nelle manifestazioni di piazza, negli accorati e generosi appelli di personalità politiche e di personaggi noti e in grado di influenzare l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Il Santo Padre, come sempre, non si è risparmiato, spendendo tutta la sua immensa popolarità a favore dell’interruzione del conflitto.

Sul piano militare la scelta è stata improntata al rafforzamento di truppe come fattore di resilienza e di monito nei riguardi dell’invasione, ma escludendo la partecipazione all’utilizzo delle forze armate in Ucraina. Si è scelta la strada della neutralità «attiva» sul piano militare e della «guerra economica» mediante sanzioni tese a colpire la Russia. Rimane, però, in sospeso una domanda: se Putin non fermerà le sue armate, la scelta dei Paesi democratici rimarrà quella attuale? Mentre si prova, giustamente, a evitare una Terza guerra mondiale, occorre guardarsi anche indietro, provando a capire perché si sia arrivati alla situazione attuale. E, qui, le possibili risposte sono tutte amarissime. Gli squilibri economici - tra Paesi e all’interno di ciascuno di essi - si sono acuiti invece di affievolirsi. La ricchezza economica è sempre più concentrata in un manipolo ristretto di persone (o di aziende da essi controllate); le diseguaglianze di tenore di vita tra Stati «avanzati» e il resto del mondo si sono ingigantite. A fronte di tali fenomeni l’azione dei governi non è servita a garantire le fasce sociali deboli o a diminuire il divario tra Paesi ricchi e poveri. Intanto, si moltiplicano i casi di «democrature», dittature mascherate, con congegni istituzionali soltanto formalmente democratici. In tale sconsolante contesto occorre, però, non perdere la speranza. Per non correre verso il baratro serve un «nuovo ordine mondiale», nel quale non esistano più blocchi contrapposti e nel quale si avviino processi di riequilibrio delle modalità di vita dell’umanità intera.

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