«Oggi troppe figure specializzate hanno salari bassi in Bergamasca»

L’analisi. Torna giovedì 15 settembre alla Malga Lunga il seminario di Cgil e Spi-Cgil, rinnovando un appuntamento che da oltre vent’anni porta il presente del lavoro e della rappresentanza sindacale sul monte di Sovere, luogo simbolo della resistenza partigiana.

Dalle ore 10 il professor Lucio Imberti, ordinario di Diritto del Lavoro all’Università degli Studi di Bergamo, Valentina Cappelletti della segreteria di Cgil Lombardia, Giacomo Angeloni, assessore al Comune di Bergamo e Gianni Peracchi, segretario generale della Cgil di Bergamo discuteranno su uno dei temi centrali per il sindacato e fondamentale in questo periodo: il mercato del lavoro.

Al centro del dialogo gli scenari internazionali e il rapporto con l’Europa e gli altri Paesi dell’Unione, cercando confronti, analogie e suggerimenti per un mercato del lavoro che sta cambiando rapidamente. Tra i temi più discussi oggi Peracchi introduce quello delle stabilizzazioni dei contratti di lavoro: «Purtroppo, anche se il resoconto Istat al primo semestre di quest’anno sembra dare un segnale di inversione di tendenza, il rapporto tra tempi determinati ed indeterminati è sbilanciato enormemente a favore dei primi. In questo frangente ha fatto la sua comparsa un fenomeno ancora tutto da analizzare: spesso i lavoratori, giovani soprattutto, abbandonano il posto di lavoro per cercarne un altro, senza particolari garanzie alle spalle».

Minor preoccupazione la esprime invece il professor Imberti che, sullo stesso tema, spiega: «Occorre prima definire il luogo da osservare. Se guardiamo alla Bergamasca noto che il contratto a tempo determinato svolge ormai una funzione sostitutiva della prova. Le imprese - continua il professore, - cercano di testare i lavoratori il più a lungo possibile, ma non trovo che sia un reale problema ora, potrebbe diventarlo se diventasse sistematico».

«Ci sono profili professionali altamente specializzati come i saldatori che sono molto richiesti e possono godere di una contrattazione favorevole, poi ci sono i lavoratori della logistica o dei servizi sociali che vengono pagati 900 o mille euro al mese e questo è sicuramente un problema»

Ciò che sottolinea invece il professor Imberti è un problema di stipendi, presente anche nella nostra provincia, e fortemente legato ad alcune figure professionali: «Ci sono profili professionali altamente specializzati come i saldatori che sono molto richiesti e possono godere di una contrattazione favorevole, poi ci sono i lavoratori della logistica o dei servizi sociali che vengono pagati 900 o mille euro al mese e questo è sicuramente un problema».

«Sono convinto che il lavoro vada premiato - suggerisce ancora Imberti. - Bisogna rendere molto più alto il delta fra quanto si può ricevere da un sussidio come la Naspi o Il reddito di cittadinanza e lo stipendio mensile di chi lavora 40 ore alla settimana, altrimenti i casi di chi cerca di tenere il sussidio lavorando in nero non diminuiranno e l’offerta lavorativa risulterà sempre poco attrattiva».

«Il salario minimo non risolve»

Nonostante ciò il professore non è a favore del salario minimo, come spiega: «È la più grande bolla di sapone di questa campagna elettorale, perché non significa niente. Stabilire un minimo di 10 euro l’ora laddove lo stipendio è solitamente più alto comporterebbe una penalizzazione rispetto ai contratti collettivi, inoltre quello che può essere considerato “poco” a Bergamo potrebbe essere “troppo” per un’altra provincia d’Italia». Nelle parole del professor Imberti emerge anche un macro tema che è quello del lavoro come identità sociale che, spiega il docente, «ha sempre caratterizzato il nostro territorio».

«Occorre capire quanto per le nuove generazioni l’etica del lavoro si leghi all’identità sociale e quanto invece il lavoro sia diventato uno strumento per vivere mentre si fa altro, fuori dal lavoro. A questo - continua il professore - si lega anche un’idea di futuro. La generazione dei miei nonni, per me che ho 46 anni, pensava che lavorare significasse creare una casa e una famiglia, ma se pensiamo all’inverno demografico che colpisce anche Bergamo è chiaro che quest’idea sta cambiando».

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