Alla Cina non conviene perdere l’Occidente

La Russia buttata tra le grinfie della Cina; asse Mosca-Pechino contro l’Occidente. Fior fiori di studiosi da tavolino di geopolitica insistono da mesi con questa visione. Ma è davvero così? Basta guardare ai numeri per rendersi conto di certe dinamiche.

Primo: l’interscambio annuale russo-cinese equivale a 145 miliardi di dollari; quello cinese-Occidente è 10 volte più grande. Domanda: quale uomo d’affari vorrebbe mettere in pericolo una torta del genere per farsi ingolosire da un 10%, facilmente recuperabile sui mercati internazionali? La Cina è intenzionata sul serio a buttare a mare quella globalizzazione che l’ha fatta uscire dalla miseria e le ha garantito la possibilità di diventare una potenza mondiale? La rapida e compatta reazione con l’imposizione di durissime sanzioni economico-finanziarie a Mosca impone ai Paesi dissenzienti dalla linea occidentale di andarci coi piedi di piombo per non finire a loro volta nella lista nera europea e americana.

Ed infatti il presidente Xi Jinping si guarda bene dal fare mosse avventate soprattutto adesso che è alla ricerca di un terzo mandato a poche settimane dal XX Congresso del Pc. Una cosa è mostrare i denti a Taiwan per aizzare la base nazionalista e partecipare a esercitazioni militari da tempo programmate con la Russia, un’altra lanciarsi nell’aggiramento di sanzioni o in aiuti. I cinesi sono commercianti, non guerrieri. Come spiegare loro che adesso ci si impegna nella crociata per un mondo in contrasto con quello occidentale?

È vero, nei primi mesi del 2022 l’interscambio russo-cinese ha avuto un sensibile incremento, ma esso è dovuto principalmente alla vendita di petrolio a prezzi ultra-scontati e di materie prime. Per il gas, invenduto oggi nel Vecchio continente, saranno necessari anni per costruire le necessarie infrastrutture per trasportarlo in Cina. La «lezione di Shanghai» non va, però, dimenticata dalla dirigenza russa. Nel giugno 2014, poco dopo l’annessione della Crimea, Vladimir Putin fu costretto ad accettare durante una sua visita nell’Impero celeste valori da svendita per forniture dell’«oro blu», pur di non tornare a casa a mani vuote. In sostanza: sono i cinesi a fare il prezzo finale.

Xi Jinping ha chiesto a Biden un colloquio al prossimo G20, in cui l’americano non mancherà di ricordargli quali sono le linee rosse nell’interscambio con questa Russia. Tale aspetto verrà ripreso da Washington anche nei rapporti con gli indiani. Se non si raggiungerà una mutua comprensione, in presenza ossia di partner riluttanti o poco cooperanti, l’alternativa è sempre rappresentata da dazi imposti sulle merci finali. E allora saranno dolori! Parte dell’industria manifatturiera tornerà in Occidente.

Passiamo ai progetti e agli investimenti. Se si analizza come i cinesi investono in Russia, si scopre che Pechino si impegna solo in determinati progetti e non versa mai soldi a pioggia. La ragione è semplice: russi e cinesi non si fidano storicamente l’uno dell’altro. E invero le atomiche di Mosca sono state studiate per fermare un ipotetico pericolo di invasione da Est. Nella sua zona asiatica vivono 30 milioni di russi, che si confrontano con 400 milioni di vicini sui confini. Al momento il Cremlino non ha altra scelta e le banche federali, impaurite per la stretta su euro e dollaro, stanno offrendo a destra e a manca yuan ai loro perplessi clienti. In ultimo, per il bene di tutti: sarebbe una buona idea che gli americani si astenessero per un po’ da azioni che potrebbero irritare i cinesi. Nel mondo c’è già abbastanza tensione!

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