
(Foto di Ansa)
Lo scadere dei cento giorni della guerra russa in Ucraina dovrebbe imporre a tutti un bagno di realismo, e a qualcuno un senso di vergogna. Per più di tre mesi ci siamo raccontati che l’esercito russo era guidato da un gruppo di sanguinari incompetenti, che quello ucraino passava di vittoria in vittoria, che le sanzioni (l’Europa ha appena licenziato il sesto «pacchetto») stavano annientando la Russia, che Vladimir Putin era isolato al Cremlino, che il fiume di armi occidentali fornite all’Ucraina avrebbe annullato le velleità dei russi.
Oggi ci ritroviamo con il 20% del territorio ucraino occupato dalle forze russe (100 giorni fa, tra Crimea e Donbass, la percentuale era del 7%), l’esercito ucraino in chiara difficoltà (lo stesso presidente Zelensky ha parlato di 60-100 soldati morti al giorno e altri 500 feriti), armi sempre più potenti spedite in Ucraina senza vedere effetti decisivi, e la classe politica russa che non fa un mezzo passo indietro. Di più. È sempre più chiaro che cercare di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia porta con sé una tragica conseguenza, ovvero la probabile distruzione dell’Ucraina stessa, come nazione e come Stato unitario. Il risultato politico sarebbe allettante per alcuni (Usa, Regno Unito, Polonia…), ma noi siamo disposti a pagare un simile prezzo, e soprattutto a farlo pagare agli ucraini?
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