La proposta per la pace in Ucraina: Italia utile

Il racconto che il premier Mario Draghi ha fatto nella giornata di venerdì 20 maggio ai ragazzi della scuola di Sommacampagna è molto significativo. La telefonata a Vladimir Putin, che respinge l’idea di un cessate il fuoco e, di fatto, di qualunque trattativa che non sia quella diretta con gli Usa. Joe Biden che invece si mostra più sensibile alla proposta di Draghi e accetta di battere un colpo con il Cremlino. Seguono infatti due telefonate importanti: quella di Lloyd Austin, capo del Pentagono, con il ministro della Difesa russo Shoigu, e quella del generale Mark Milley, capo di stato maggiore delle forze armate Usa, con il suo omologo Aleksandr Gerasimov. Un minimo di disgelo in cui si inserisce il piano di pace in quattro tappe (cessate il fuoco; Ucraina neutrale fuori della Nato; soluzione di compromesso per Donbass e Crimea; nuovo patto sulla sicurezza in Europa e sullo scenario internazionale) che l’Italia ha presentato all’Onu, all’Ucraina e alla Russia.

Era il momento giusto per fare una mossa e il Governo italiano l’ha colto. Si tratta di capire, però, quanti siano disposti a discutere seriamente e coraggiosamente di pace. Josep Borrell, Alto rappresentante per le politiche di difesa e politica estera della Ue, ha commentato che sarà l’Ucraina a decidere le condizioni del cessate il fuoco. Il che va bene se vuol dire che la Ue farà pressioni. Se invece vuol dire «o le condizioni di Kiev o nulla», allora siamo punto e a capo. L’Ucraina rivuole Donbass e Crimea: potrà avvenire solo in seguito a una catastrofica sconfitta della Russia, al momento lontana. Non a caso molti analisti, negli Stati Uniti, avvertono che senza sacrifici territoriali da parte dell’Ucraina (insieme, ovvio, a una più o meno parziale ritirata della Russia) le prospettive di pace sono vicine allo zero.

C’è un altro problema. La proposta italiana è ragionevole e, soprattutto, non incontra ostilità da parte degli Usa (che, anzi, incoraggiano Draghi) ed è seguita con una sorta di silenzio-assenso di Regno Unito e Polonia, i Paesi più decisi a perseguire la sconfitta sul campo della Russia. Però è tanto (troppo?) vicina a quanto, forse strumentalmente, comunque già chiedeva la Russia prima del conflitto. Nel nuovo scenario, la Russia guadagnerebbe l’impegno a discutere di un nuovo assetto della sicurezza globale (ma i risultati sarebbero da vedere) e la garanzia che l’Ucraina non entrerà nella Nato (cosa che anche prima pareva piuttosto ipotetica), mentre dovrebbe riaprire la partita su Donbass e Crimea che ora sono sotto il suo controllo.

È difficile che Putin accetti. Per questa guerra, che gli sta costando così cara, ha messo a rischio la stabilità economica della Russia e il benessere dei suoi cittadini, ha compromesso forse per sempre una quantità enorme di relazioni internazionali, ha sconvolto equilibri (si pensi a Svezia e Finlandia) che parevano immutabili. Può abbandonare così, senza un vero risultato, senza una vera vittoria? Tanto più che la percezione della guerra, se non l’andamento delle operazioni sul campo, negli ultimi giorni è sembrata cambiare corso. Da quando quasi 2mila soldati ucraini si sono arresi a Mariupol (e secondo il ministro Shoigu il totale, in un mese e mezzo d’assedio, è di oltre 3mila), le truppe russe sembrano rinfrancate. Forse sta facendo effetto il lungo lavoro ai fianchi delle infrastrutture ucraine. Ma nel Donbass, come ha detto lo stesso Zelensky, la lotta è durissima e i russi sembrano rinunciare a uno sfondamento generale per provare a chiudere dentro sacche reparti sparsi di soldati ucraini. Anche questo, se è vero, contribuirà a rendere meno malleabile il Cremlino. Però la proposta italiana è utile perché serve a parlare di pace. E se Draghi è abile anche solo la metà di quel che sembra, sta già immaginando qualche altro «amo» per tenere Kiev e Mosca agganciati al suo discorso.

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