Pace, forza che mostra l’assurdità della guerra

MONDO. Molte cose possono ancora andare storte, perché né la dirigenza di Hamas né il Governo di Israele meritano fiducia cieca e incondizionata. Se non bastassero gli eventi degli ultimi due terribili anni, arrivano le notizie di queste ore.

Appena le bombe israeliane hanno smesso di cadere, Hamas ha cominciato a «fare i conti» con gli oppositori interni, veri e presunti. E il ministro della Difesa israeliano Katz ha già ricominciato a minacciare: Hamas fatica a recuperare i corpi di alcuni degli ostaggi morti in prigionia e Katz fa finta di non sapere che i bombardamenti indiscriminati che hanno coperto la Striscia di macerie li ha ordinati lui. A parte i 1.200 innocenti massacrati dai terroristi di Hamas due anni fa, la censura militare ci impedisce di sapere quante altre perdite abbia sofferto finora Israele. Di certo sappiamo che la cifra data per «ufficiale» di 67mila palestinesi uccisi (in gran parte civili, tra i quali 20mila bambini) è troppo bassa, e che studi affidabili di fonti non sospette (i 99 medici Usa che presentarono la loro ricerca a Biden, gli esperti della rivista medica Lancet) alzano l’asticella ad almeno 150-200mila.

Guerra, un inutile massacro di vite

E la pace (che ora forse sarebbe più prudente chiamare tregua), che in questo caso porta con sé il sollievo per le venti vite israeliane che si è riusciti a salvare, ha una forza enorme: appena compare, fa vedere la guerra per quello che è, un assurdo e inutile massacro di vite e di possibilità. Ci piace credere che ci sia anche questo, e non solo la legittima felicità degli israeliani per il ritorno degli ostaggi e del popolo gazawi per la fine della persecuzione, in quello che, fuor di ogni dubbio, si può considerare un grande successo diplomatico di Donald Trump. Certo, gli storici ricorderanno anche che Trump, ancor più di Joe Biden, è stato il presidente che ha armato la mano di Netanyahu. Ma oggi è il giorno della speranza ed è ovvio che l’enfasi vada più sui desideri positivi per il futuro che sui bilanci del passato. I militanti di Hamas non si sono ancora esposti in modo chiaro sulla volontà di deporre le armi, come previsto dall’ormai famoso Piano Trump, e il governo di Israele ha per ora approvato solo la prima fase del Piano, con i cinque ministri dell’ultradestra che hanno votato contro anche a quella. Ma la pressione internazionale è davvero forte, come poche altre volte nella lunga storia del conflitto tra israeliani e palestinesi, e questo non può non pesare.

Il summit di Sharm el Sheikh

Non meno importante della svolta a Gaza, infatti, è stato il summit convocato nella località egiziana di Sharm el Sheikh, dove sono convenuti venti leader da ogni parte del mondo, compreso il presidente turco Erdogan, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani e,

In maniera più o meno sincera o interessata, tutti oggi pensano che questo Piano Trump sia il massimo che la diplomazia internazionale possa produrre per fermare la carneficina e tentare una composizione pacifica del problema israelo-palestinese

ovviamente, il padrone di casa, il presidente egiziano Al-Sisi. Accanto a loro anche il premier armeno Pashinyan e italiano Giorgia Meloni, il presidente francese Macron e il primo ministro britannico Starmer. Ma quel che più contava era la folta presenza di Paesi arabi e musulmani, a significare una cosa molto semplice: in maniera più o meno sincera o interessata, tutti oggi pensano che questo Piano Trump sia il massimo che la diplomazia internazionale possa produrre per fermare la carneficina e tentare una composizione pacifica del problema israelo-palestinese. Che ha toccato l’apice a Gaza ma riguarda anche la Cisgiordania. Il Piano chiede all’Anp di riformarsi ma nulla dice degli insediamenti israeliani, che sono illegali ma che una legge israeliana del 2018 ha proclamato «valore nazionale». L’Anp potrà anche riformarsi (e ce ne sarebbe un gran bisogno), ma a che cosa servirà se non avrà uno spazio in cui esercitare la propria autorità, perché travolta dall’espansione dei coloni? Trump ha incontrato Abu Mazen, speriamo ne abbiano parlato.

Il ruolo di Donald Trump

Anche a Sharm, ovvio, Donald Trump ha esercitato le sue doti di grande ed egocentrico affabulatore, e ha raccolto gli applausi, sia quelli di circostanza (anche dei leader che in questi due anni non hanno fatto nulla per fermare la guerra) sia quelli meritati. Nel gruppo spiccava l’assenza di Benjamin Netanyahu, che grida dai tetti di aver vinto ma non ha avuto il fegato di sedersi a un tavolo dove fin troppe facce lo avrebbero silenziosamente chiamato genocida.

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