Per la pace serve giustizia

MONDO. Uno studente mi chiede come è possibile che la Chiesa abbia sostenuto la teoria della «guerra giusta» quando il messaggio evangelico è chiaramente a favore della pace.

La domanda riguarda inevitabilmente anche l’attuale posizione del magistero della Chiesa Cattolica nei confronti della guerra tra Russia e Ucraina. Molti cristiani credono che la crescente fornitura di armi, da parte di Paesi della Nato, non stia favorendo la risoluzione del conflitto, ma piuttosto lo stia alimentando. Il dubbio riguarda il modo di procedere per giungere alla pace: meglio la difesa armata o la difesa nonviolenta? Da Papa Leone XIII fino a Papa Francesco abbiamo una chiara condanna della guerra, ma chi ha detto per primo che non si può pensare alla guerra per ristabilire la giustizia è stato Papa Giovanni XXIII nella «Pacem in Terris», consapevole della catastrofe umanitaria che avrebbe causato una nuova guerra nell’epoca della bomba atomica. Da quel testo, ripreso anche nei giorni scorsi in un comunicato del presidente Sergio Mattarella, è passata l’idea che la «pace» non può scaturire dall’annientamento del nemico o reggersi sugli arsenali militari, ma deve essere frutto di un ordine sociale fondato sulla giustizia e rispettoso dei diritti delle persone e dei popoli.

La ricerca della pace passa tra due poli quello del realismo e quello della profezia. L’idea che si potesse parlare di una «guerra giusta» è di sant’Agostino, ma a venire legittimata era solo la guerra di difesa, non di offesa, per altro a precise condizioni come l’esaurimento di altre possibili soluzioni. Oggi diremmo per via diplomatica o pressione internazionale o mediante sanzioni economiche. Ma quando questi mezzi non hanno effetto, «il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo, la propria patria, comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi», così ha detto il segretario di Stato vaticano card. Pietro Parolin. E Papa Francesco alla domanda se in questo momento bisognava dare armi all’Ucraina ha risposto che si tratta di «una decisione politica» che non sostituisce la necessità del dialogo, per giungere al più presto al cessate il fuoco, ma soprattutto che eviti una escalation nucleare. Difendersi non è solo lecito, ma è segno della cura che si ha per la propria vita e per quella degli altri. Tuttavia anche le legittima difesa deve essere fatta rispondendo in modo proporzionato all’aggressione in atto. Sapendo che questa reazione può prolungare e addirittura aggravare lo scontro.

Dal canto suo l’istanza profetica della non violenza non esclude il dovere di difendersi dalle aggressioni, a meno che si creda di poter vivere un giorno in un mondo senza conflitti. La pace non è assenza di conflitti, ma è la gestione e la risoluzione di questi senza ricorrere a minacce, prevaricazioni, distruzioni e uccisioni di migliaia di innocenti. Nel caso dell’aggressione all’Ucraina è chiaro da che parte sta la ragione, ma la domanda è se le «ragioni» si debbano difendere con le armi. Le armi moderne per potenza di fuoco e capacità distruttiva non sono paragonabili alle armi antiche. Pertanto non si possono considerare alla pari di altri prodotti di cui fare compravendita. Il commercio internazionale delle armi va ad alimentare non solo la legittima difesa di uno Stato, ma la «terza guerra mondiale a pezzi» fatta di terrorismo, guerre civili, banditismo, narcotraffico oltre che di conflitti tra Stati.

La difesa popolare non violenta, quella messa in atto da Gandhi durante l’occupazione britannica dell’India, va considerata come una reale alternativa e visto l’effetto ottenuto non fu certo vigliaccheria. Se un governo ingiusto si regge sulla sottomissione, sull’obbedienza, sul collaborazionismo, allora il metodo per cambiarlo o farlo crollare sta nella sfida, nelle disobbedienza, nella non collaborazione. L’inglese Stephen King-Hall, militare di professione, nel 1958 disse: «Sono sicuro che fra una Gran Bretagna occupata dall’esercito russo e una Gran Bretagna ridotta a un cimitero radioattivo, il primo sia un male minore». Forse è giusto avere qualche preoccupazione per le bombe atomiche americane presenti nelle basi di Ghedi e Aviano, sapendo che in caso di attacco questi sono obiettivi sensibili. Nel gennaio 2021 il trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari è stato sottoscritto da più di 50 Stati, ma non dal nostro governo. Perché?

Nel vangelo Gesù ci insegna che è possibile affrontare i nemici credendo nella possibilità di un loro cambiamento, frutto di uno sguardo misericordioso come quello del Padre. Così Gesù ha accettato la morte in croce piuttosto che opporsi alla violenza servendosi delle «dodici legioni di angeli» pronte a difenderlo (Mt 26,3). Ma questa fu la sua scelta, libera e consapevole. Una scelta personale, chiedendo espressamente durante il suo arresto che altri non venissero coinvolti. L’antidoto alla guerra sono gli operatori di pace. Volontari, medici, giornalisti, insieme a diplomatici e politici che, in mezzo a un conflitto sempre più brutale e disumano, gettano semi di pace. Perché se vuoi la pace, devi preparare la pace, non la guerra.

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