L'Editoriale
Venerdì 24 Ottobre 2025
Perché Mosca non accetta il cessate il fuoco
MONDO. Sanzioni europee contro il Cremlino dopo quelle americane, le prime con Donald Trump presidente. Ad Est la trattativa per fermare la tragedia russo-ucraina non decolla proprio e si è tornati alle maniere forti.
Totale, o quasi, è l’inconciliabilità delle posizioni negoziali: di fatto, le parti belligeranti sono ferme all’autunno 2021, ossia a prima dell’inizio dell’«Operazione militare speciale», lanciata da Vladimir Putin il 24 febbraio 2022. L’unico elemento, realmente inatteso, è l’impulso portato nell’ultimo anno da Trump con la sua imprevedibilità, ormai proverbiale, e colpi di scena a non finire. Questi ultimi hanno suscitato speranze e delusioni al tempo stesso. La Casa Bianca e gli europei chiedono una tregua - come a Gaza - e successivamente cominciare negoziati per la definizione di un piano di pace.
La posizione del Cremlino
Il Cremlino non è d’accordo su questo modus operandi, poiché teme di finire impantanato in una palude simile a quella non attraversata con i Protocolli di Minsk-2. Protocolli, è bene precisare, che ebbero il merito di congelare, per anni, il primo scontro armato in Donbass, quello del 2014-15. Se accettasse un cessate il fuoco – pensano gli strateghi moscoviti – la Russia perderebbe l’unica vera arma per ottenere ciò che vuole imporre. Ossia l’accettazione della violazione delle leggi internazionali che hanno assicurato otto decenni di pace al Vecchio continente e il ritorno a scenari da primo Novecento.
A Mosca nelle «stanze dei bottoni» sono innamorati della storia, ma forse si sono dimenticati che l’Unione Sovietica – di cui la Russia è l’erede ufficiale diretta – si è sempre presentata agli occhi delle opinioni pubbliche come la garante della pace mondiale e ha concordato gli Accordi di Helsinki, il cui anniversario cinquantennale è stato celebrato proprio quest’anno.
Le operazioni militari impantanate
Quali prospettive in Ucraina, ora, a inizio della stagione fredda? Premesso che la speranza di un miracolo, che porti alla pace, è l’ultima a morire, le operazioni militari sono impantanate. Se si guarda la tivù russa non c’è giorno senza la «liberazione» di nuovi territori. Ma di questo passo le truppe dovrebbero già essere in vista di Berlino. Gli Istituti occidentali ripetono, invece, che in questi quattro anni le truppe di Putin hanno «occupato» solo spazi minori. Di certo, come già in passato, la neve e il ghiaccio congeleranno le posizioni sul terreno a meno di crolli imprevedibili e clamorosi.
Le sole vere novità, a parte le nuove sanzioni, sono tre. La prima. Dall’estate Putin inizia ad essere a corto di soldi, che sono il vero carburante delle ostilità e presto si potrebbe raschiare il fondo. La seconda. L’arsenale sovietico ereditato è quasi vuoto e la Russia non riesce a costruire tutte le armi che le servono. La terza. Gli attacchi dei droni ucraini stanno portando scompiglio nelle retrovie: l’industria energetica è in affanno e la benzina razionata in numerose regioni. Ma tutto ciò - bisogna rassegnarsi - non fermerà Putin e la sua «Operazione» «esistenziale». Il capo del Cremlino rimane convinto di sfondare presto il fronte ucraino e di vedere frammentarsi l’unità degli europei. Gli occidentali puntano oggi sul dissanguamento della Russia, come già avvenne con l’Urss. Putin, nel frattempo, assiste a manovre «di routine» delle sue unità atomiche in risposta a quelle omologhe, parallele della Nato.
Sui media e sui social qualcuno ha speculato su «nuove minacce all’Occidente», come se quelle precedenti non fossero abbastanza. In una situazione come questa ci manca solo chi immancabilmente va alla ricerca di qualche «like» in più.
© RIPRODUZIONE RISERVATA