Sulla politica estera il diktat di Draghi al futuro governo

Il commento. Il durissimo discorso di Mario Draghi all’assemblea delle Nazioni Unite aveva uno scopo esplicito: ancorare l’Italia alla posizione geopolitica che ha seguito sin qui e che dovrà seguire in futuro, chiunque governi a Roma. L’estrema nettezza usata nel suo intervento dallo «statista migliore dell’anno» – l’incoronazione che Draghi ha ricevuto per mano di Henry Kissinger – dimostra come sia molto alta la preoccupazione internazionale per il risultato della campagna elettorale italiana che potrebbe condurre a governi populisti e meno intransigenti nei confronti di Putin.

Un timore che in parte riguarda Giorgia Meloni, la preannunciata vincitrice del round elettorale, ma soprattutto investe il suo alleato Matteo Salvini. Quanto a Berlusconi, il vecchio leader – il primo, in realtà, ad avere rapporti anche personali molto intensi con l’autocrate del Cremlino – dopo una iniziale ritrosia, è stato lesto a smarcarsi dalle ambiguità degli alleati e a proclamare la propria fedeltà atlantica ed europeista. Se questa coalizione si trasformerà nel governo dell’Italia è facile aspettarsi conseguenze, ed è la ragione per cui Draghi ha fissato i punti fermi della nostra politica estera. Che si traduce in: nessun cedimento alle autocrazie, difesa dell’aggredita Ucraina dall’aggressore russo, sì alle armi e sì alle sanzioni, no reciso ai referendum farsa del Donbass, ripudio fermissimo della minaccia nucleare agitata da Putin e del ricatto esercitato con le forniture di gas. Dunque fedeltà alla linea di Washington, alle posizioni della Nato, alla solidarietà europea in nome degli ideali democratico-occidentali di libertà, pace, multilateralismo. Si dirà: posizioni note, ripetute tante volte in ogni sede, a cominciare dal Parlamento. Sì, ma queste posizioni assumono un significato ancor più pregnante per il fatto di essere state pronunciate all’assemblea Onu di fronte a Biden, ai russi, agli ucraini e a tutto il mondo e che verranno ribadite nell’incontro in agenda tra Draghi e il presidente Usa.

Le reazioni politiche interne alle parole del presidente del Consiglio hanno rispettato i copioni previsti. Con una variante non banale: dopo giorni in cui era tornata a calcare temi scivolosi (sulla linea, per intenderci, del voto pro Orban al Parlamento europeo), la Meloni si è velocemente riallineata con parole molto chiare sulle armi, le sanzioni, i referendum, il gas, la minaccia atomica. Viceversa Salvini ha mantenuto le sue posizioni, specialmente sulle sanzioni a suo giudizio penalizzanti più per noi che per i russi. Basta questo per confermare i sospetti nei confronti del leader leghista che si nutrono a Bruxelles e a Washington, e ci si chiede come si potrà trovare un accordo nella coalizione che dovesse vincere le elezioni. È la ragione per cui l’estrema speranza del centrosinistra è che le contraddizioni del centrodestra esplodano a tal punto da impedire la formazione di un governo.

Governare tra i dissidi tra alleati, l’ostilità dei partner internazionali e i timori dei mercati non sarebbe una passeggiata per Giorgia Meloni, posto che si voglia caricare personalmente del peso della presidenza del Consiglio in un momento tanto grave

È vero che il potere compatta, ma è anche vero che non ci troviamo in un momento qualunque della storia, attanagliati come siamo dal rischio di una guerra e dalla quasi certezza della recessione e di una grave crisi economica e quindi occupazionale e sociale. Governare tra i dissidi tra alleati, l’ostilità dei partner internazionali e i timori dei mercati non sarebbe una passeggiata per Giorgia Meloni, posto che si voglia caricare personalmente del peso della presidenza del Consiglio in un momento tanto grave. Ma tutto, come abbiamo scritto più volte, dipende dai numeri: quanto ampio sarà il vantaggio del centrodestra sugli altri (soprattutto al Senato) e quale sarà il risultato elettorale di Lega e Forza Italia. Poi toccherà a Mattarella.

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