Ucraina, un anno di escalation

Esteri. Il rischio di un’escalation del conflitto russo in Ucraina viene evocato ad ogni decisione da parte degli Stati occidentali di inviare mezzi, armi ed equipaggiamenti a sostegno di Kiev. Non è però banale tornare alla notte fra il 23 e il 24 febbraio scorsi, quando Vladimir Putin diede il via all’invasione.

Battaglioni del Cremlino penetrarono da Sud e da Nord nello Stato riconosciuto indipendente e sovrano nel 1991 dalla comunità internazionale, nello stesso anno e poi ancora nel 1994 da Mosca. La convergenza degli aggressori doveva avvenire a Kiev, dove avrebbero disarcionato il governo di Volodymyr Zelensky per insediarne uno fantoccio. Invece incontrarono la resistenza dei soldati e dei volontari ucraini e nel mese successivo l’assedio alla capitale e alle aree circostanti fu respinto. Doveva essere veramente un’«operazione militare speciale» come la definisce Putin, un blitz di pochi giorni o settimane per assoggettare definitivamente il vicino, dopo che i tentativi del ventennio precedente attraverso continue intromissioni nella vita politica e sociale dell’Ucraina non furono sufficienti, raccontati nei libri di storia dei veri esperti, intellettualmente onesti e mai ospitati nei talk show alla ricerca invece di superficiali e tendenziosi opinionisti.

Nella notte buissima fra il 23 e il 24 febbraio 2022, battaglioni del Cremlino partiti dalla Bierolussia percorsero una settantina di chilometri prima di raggiungere tre cittadine ucraine prive di difese militari: a Bucha, Irpin e Hostomel in un mese di occupazione compirono ormai accertati crimini di guerra (2mila persone uccise, ma è una stima al ribasso perché in centinaia risultano ancora disperse) e distruzioni di edifici civili compresi ospedali e scuole. Ciò che è avvenuto in quest’area oggi definita «triangolo della morte», avrebbe dovuto già evidenziare come la guerra avesse per obiettivo l’annessione di territori di uno Stato colpevole, secondo Putin nostalgico delle vecchie sfere di influenza, di guardare a Ovest e non a Mosca. Lo scopo degli aggressori non è la «denazificazione» dell’Ucraina, bugia infamante presa per buona nel cicaleccio dei talk show, ma la deucranizzazione, teorizzata nei saggi degli ultranazionalisti russi ai quali si ispira lo «zar». E non ci sono imprudenze o scelte della Nato che possano giustificare altrimenti ciò che sta accadendo, se non si crede che i conflitti siano il metodo per risolvere contese geopolitiche.

Le successive offensive dell’esercito di Kiev hanno respinto gli invasori a Sud. Il Cremlino nei mesi scorsi ha quindi progressivamente aumentato il numero di soldati nella prima linea in Donbass, ha acquistato 2.600 droni esplosivi dall’Iran e missili a lunga gittata dalla Corea del Nord. In quasi un anno di guerra, sull’Ucraina sono stati lanciati 4mila fra droni e missili. Fino al barbaro attacco a centrali elettriche e infrastrutture vitali lasciando totalmente al gelo, al buio e senz’acqua 10 milioni di persone. Intanto Mosca ammassa armi e militari in addestramento in Bielorussia, già rampa di lancio di missili, in vista di una nuova offensiva in primavera: per scongiurarla, su questo confine gli ucraini stanno erigendo una barrierra.

Lungo i 900 chilometri di prima linea nel Donbass il conflitto è feroce, con migliaia di soldati morti nei due schieramenti. Mariupol devastata all’80%, da settembre annessa illegalmente alla Federazione russa, è un altro simbolo della furia conquistatrice. Nell’area di quel che resta della grande città, un’inchiesta giornalistica della «Associated press» condotta con sistemi satellitari ha individuato migliaia di tombe, identificate anche da volontari della Caritas locale ancora sul posto, mentre l’organizzazione ecclesiale è stata costretta a trasferirsi a Zaporizhzhia. Archeologi forensi esperti in indagini su crimini di guerra e fosse comuni hanno validato l’analisi dell’«Ap»: sulla base di questi rilievi, si stima che le 25mila vittime ufficiali del conflitto potrebbero essere il triplo.

Servirebbe un serio negoziato per uscire da questo abominio. Il Cremlino pone come condizione iniziale il riconoscimento dell’annessione del 20% dell’Ucraina (dichiarata irreversibile nella Costituzione russa), Kiev almeno il ripristino dei confini ante 24 febbraio scorso. Quell’orpello da anime belle che è ormai considerato il diritto internazionale, sta dalla parte degli ucraini. Il fatto che quel diritto sia stato violato nella storia anche dagli Usa, non lo rende meno attuale e valido. L’alternativa è rassegnarsi alla prevalenza dei rapporti di forza.

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