Ue in ritardo, ma la sua cultura di pace serve

MONDO. In questi anni di guerra, abbiamo mai avuto la sensazione che l’Europa potesse o volesse decidere qualcosa che avrebbe avviato una svolta positiva?

La guerra in Ucraina è in corso dal 24 febbraio del 2022, in seguito all’invasione russa. La guerra in Medio Oriente dal 7 ottobre del 2023, in seguito alla strage di cittadini israeliani perpetrata da Hamas. Si tratta solo delle fasi estreme, più acute e cruente, di due crisi aperte da molto più tempo. Basta pensare agli otto anni (2014-2022) di guerra nel Donbass o alle lotte infinite, da una guerra a un’intifada, tra israeliani e palestinesi. Ma teniamo quel 2022 e quel 2023 come un mero riferimento temporale. Ebbene, in questi anni di guerra, massacri, terrorismo, occupazione di territori, bombardamenti, a volte anche sulla soglia della nostra casa europea, abbiamo mai avuto la sensazione che l’Europa (comunitaria o no) sapesse o volesse dire una parola importante, potesse decidere qualcosa che avrebbe avviato una svolta positiva in quegli eventi così negativi e drammatici?

L’Europa e l’Ucraina

Può darsi che chi qui scrive sia stato distratto o soffra di eccessi di pessimismo. Però non viene in mente quasi nulla. Per quanto riguarda l’Ucraina e l’invasione russa, forse l’iniziativa più interessante è arrivata proprio nelle scorse ore, nell’imminenza del summit Trump-Putin in Alaska, quando i rappresentanti dei Paesi europei si sono ritrovati a Londra con quelli dell’Ucraina per costruire una specie di baluardo rispetto a qualunque tentazione possano avere Trump e Putin di decidere da soli e poi presentare il conto. Europei e ucraini chiedono, in sostanza, che prima di trattare qualunque cosa sia deciso un cessate il fuoco; che se di cessione di territori si parlerà, che sia reciproca, ovvero che anche la Russia abbandoni parte delle terre ucraine occupate; e che qualunque accordo sarà siglato, sia accettato anche dall’Ucraina e sia poi «blindato», per esempio con l’adesione di Kiev alla Nato.

Immaginare soluzioni realistiche

Non staremo a valutare, qui, quali e quante possibilità di riuscita abbia questa iniziativa. Ma è, appunto e finalmente, un’iniziativa. Dal 2022 a oggi, invece, siamo passati dall’euforia dei primi mesi (quando la Russia era considerata già spacciata) e dall’intransigenza nei confronti delle prime trattative a una più realistica considerazione dell’impegno assunto per la difesa dell’Ucraina, ma sempre nella convinzione che l’unica possibile soluzione fosse la sconfitta della Russia sul campo. Per poi ritrovarsi, con il secondo avvento di Trump alla Casa Bianca, con una specie di elefante nella cristalleria diplomatica e le spalle scoperte rispetto alla tattica americana di scaricare sulle spalle dell’Europa tutti i costi della resistenza alla Russia, per prendersi invece i meriti e i vantaggi di un eventuale accordo. In questi tre anni dall’Europa non un colpo d’ala, un’invenzione, un personaggio capace di uscire dalle affermazioni di principio per immaginare una soluzione realistica e praticabile, capace di risparmiare tante morti e distruzioni e di impedire che la Russia arrivasse a questo summit in Alaska in posizione di forza.

Il Medio Oriente

Quasi altrettanto si può dire della relazione dell’Europa con la crisi mediorientale. Se per l’Ucraina il mantra era «sconfiggere la Russia sul campo», dopo le stragi dei terroristi di Hamas il mantra adottato dall’Europa è stato «Israele ha il diritto di difendersi». Giusto. Se non fosse che presto «il diritto a difendersi» si è trasformato in diritto a massacrare i civili di Gaza e a portare la guerra in Libano (dove il nemico c’era: Hezbollah) ma anche contro la Siria che non aveva alzato un dito contro Israele e contro l’Iran in nome del fantomatico «pericolo nucleare» che da trent’anni Netanyahu racconta al mondo come imminente. Ci sono voluti due anni perché i leader europei capissero che rispondere ad Hamas e liberare gli ostaggi non era più il vero obiettivo del governo israeliano. C’è voluto il dibattito internazionale sul genocidio a Gaza per svegliare qualche governo. Arriva ora, con solo un paio di decenni di ritardo, un riconoscimento dello Stato di Palestina ormai quasi nemmeno simbolico. Arriva ora il mezzo blocco alle forniture militari per Israele da parte di una Germania che ancora qualche settimana fa vietava i dibattiti pubblici pro-Pal. Non è questa l’Europa che avevamo sognato. Soprattutto in un mondo come questo, che ha tanto bisogno della nostra cultura di convivenza nelle differenze e di composizione dei conflitti.

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