Covid, inchiesta chiusa: 22 gli indagati, ci sono l’ex premier e l’ex ministro

I morti per la pandemia. Conte e Speranza accusati per la mancata zona rossa. Nell’elenco anche Fontana, l’ex assessore Gallera, Locatelli (Css), i dg di Ats e dell’Asst Bergamo Est Giupponi e Locati.

L’allora premier Giuseppe Conte era presente il 2 marzo 2020 alla riunione del Cts nella quale si doveva decidere se blindare i paesi colpiti dal Covid nella Bergamasca e nel Cremonese. Al presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss) Silvio Brusaferro, che chiedeva di limitare la circolazione, il presidente del Consiglio rispose che la zona rossa andava usata con parsimonia perché ha un costo sociale, politico ed economico molto alto. È una valutazione che è costata a Conte l’iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Bergamo che ha chiuso le indagini sulla pandemia da Covid al termine di una mega inchiesta, nella quale un filone è relativo alla mancata celerità con cui fu applicata la zona rossa.

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Una decisione presa anche sulla scorta dei risultati della relazione di Andrea Crisanti, il docente di Microbiologia all’Università di Padova scelto come consulente dal pool di pm coordinato dal procuratore Antonio Chiappani e dall’aggiunto Maria Cristina Rota, secondo il quale un’applicazione tempestiva del lock-down a Nembro e Alzano avrebbe consentito di risparmiare fra le 2.000 e le 4.000 vittime. Gli atti relativi a Conte sono stati trasmessi al tribunale dei ministri, sezione di Brescia, insieme a quelli relativi all’ex ministro della Salute Roberto Speranza, anche lui indagato.

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Sono 22 in totale le persone che sono finite nell’inchiesta di Bergamo aperta per epidemia colposa e falso. Tra queste ci sono anche le due ministre che vennero prima di Speranza, Giulia Grillo e Beatrice Lorenzin. La loro posizione è più attenuata, ancora al vaglio degli inquirenti (potrebbero essere archiviate) ed è relativa all’aggiornamento del piano pandemico prima dell’esplosione della pandemia: devono rispondere di omissioni e gli atti che le riguardano sono stati trasmessi a Roma.

Il Piano pandemico

Un altro filone riguarda infatti il mancato aggiornamento e la mancata applicazione del Piano pandemico influenzale del 2006. Vero che era relativo all’influenza, ma - secondo i pm bergamaschi - applicando i primi step, si sarebbe potuto contenere in parte il contagio. Tre gli indagati ci sono anche il presidente della Regione Attilio Fontana, rieletto di recente, e l’ex assessore regionale al Welfare Giulio Gallera. Agli atti c’è una mail spedita da Fontana nei primi giorni della pandemia e che arriva a Presidenza del Consiglio, Ministero dello Sviluppo economico e dell’Interno per chiedere di mantenere la zona gialla. Sono le 16,59 del 28 febbraio 2020, l’indice di contagio è già alto. Il governatore lombardo rappresenta a che l’R0 (l’indice di contagio) è pari a due in Lombardia (e cioè altissimo), però poi - sempre stando agli inquirenti - spiega che le misure adottate tre giorni prima sono valide perché permettono di contenere la diffusione del virus. Il giorno prima Regione Lombardia aveva trasmesso al ministero una proposta senza segnalare - è la contestazione - ulteriori criticità e senza richiedere misure.

Gli altri indagati

Tra gli indagati ci sono anche il bergamasco Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità; Francesco Locati, direttore generale dell’Asst Bergamo Est da cui dipende l’ospedale di Alzano (il filone relativo alla riapertura viaggia verso l’archiviazione perché Crisanti ha spiegato che c’erano già altri focolai; restano in ballo i falsi sulla sanificazione e la mancata adozione di misure, che contribuì all’espansione del contagio all’interno del nosocomio); Roberto Cosentina, ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est; Massimo Giupponi, direttore generale dell’Ats di Bergamo; Luigi Cajazzo, all’epoca dg della sanità lombarda. In più c’è una serie di figure di funzionari ministeriali e di membri di organi «politici» della sanità per i quali gli atti saranno spediti alla Procura di Roma. Si tratta di Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss; Giuseppe Ruocco, all’epoca segretario generale del ministero della Salute; dell’ex capo della prevenzione del ministero della Salute Claudio D’Amario; dell’allora presidente del Cts (Comitato tecnico scientifico) Agostino Miozzo; dell’allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli; dell’ex direttore scientifico dell’ospedale Spallanzani di Roma Giuseppe Ippolito; di Francesco Paolo Maraglino, direttore della Prevenzione delle malattie trasmissibili e profilassi internazionale. Posizione stralciata invece per Ranieri Guerra (che rimane per il momento indagato), all’epoca direttore vicario dell’Organizzazione mondiale della Sanità.

I dispositivi di protezione

In particolare per il Piano pandemico, i pm contestano la mancata adozione e il mancato aggiornamento dei protocolli già utilizzati per Sars Cov-1 del 2002-2003 e Mers-Cov del 2012, oltre alla mancata applicazione delle fasi 1, 2 e 3 del Piano pandemico del 2003. Ciò, stando alle contestazioni, avrebbe contribuito a diffondere la pandemia. Così come, è un’altra ipotesi accusatoria, la mancata applicazione dei provvedimenti preventivi previsti dal Piano. Provvedimenti che, secondo l’accusa, dovevano essere presi anche a livello regionale e locale, fin da dopo il 9 gennaio, quando l’Oms lanciò l’allarme, invitando i Paesi a fare prevenzione e formazione e a provvedere alle scorte di Dpi (dispositivi di protezione individuale come guanti e mascherine), respiratori, reagenti, tamponi, che all’epoca invece risultarono introvabili.

«Gravi perdite di tempo»

Gli inquirenti contestano la scelta di non applicare, nonostante le raccomandazione dell’Oms, il Piano pandemico nazionale anti-influenzale, per redarne uno nuovo sulla base delle nuove emergenze. Così, concludono gli inquirenti, si perse tempo prezioso. Fecero perdere tempo e incisività nel contrasto - è un’altra contestazione - anche le disposizioni ministeriali, ritenute contraddittorie e inefficienti, relative all’utilizzo di mascherine e tamponi; sulla necessità di validazione al laboratorio di riferimento dell’Iss; sulla certificazione dei decessi Covid accompagnata da un parere dell’Iss. Gravi per chi indaga anche l’indicazione di non eseguire tamponi agli asintomatici; la mancata predisposizione di un modello di file per consentire alle Regioni di inviare i dati dei positivi; i ritardi e i disservizi del numero verde centralizzato 1500; i ritardi nell’attivare la piattaforma per caricare i dati finalizzati alla sorveglianza epidemiologica che si sarebbe rivelata utile per capire anche la crescita esponenziale del contagio; la mancata mappatura del fabbisogni di Dpi , di posti letto e di apparecchiature per la ventilazione. Inoltre, per i pm, non fu preso alcun provvedimento per vietare i voli indiretti dalla Cina.

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