
(Foto di Bedolis)
L’ORDINANZA. Il gip esclude la legittima difesa per Jacopo De Simone, 18 anni, accusato dell’omicidio di Riccardo Claris durante una rissa a sfondo calcistico a Bergamo. Il giovane, pur al sicuro in casa, sarebbe sceso armato per vendetta. La vittima non aveva catene, come invece sostenuto. Il giudice dispone il carcere per pericolo di reiterazione e inquinamento delle prove.
Bergamo
Non era legittima difesa, neanche nella sua forma putativa. Per il giudice Maria Beatrice Parati, che ha convalidato l’arresto e disposto la custodia in carcere per Jacopo De Simone, 18 anni, l’accoltellamento che ha ucciso Riccardo Claris, 26enne consulente finanziario, ha avuto origine da una volontà di vendetta e non da un pericolo reale. Il giovane – riferisce il gip – «era già al sicuro in casa» e avrebbe potuto chiamare i soccorsi. Invece ha scelto di armarsi e tornare in strada.
Lo stesso De Simone, durante l’interrogatorio col pm Guido Schininà, ha raccontato che la madre, intuendo il rischio di una degenerazione violenta, aveva nascosto i coltelli prima di scendere per sedare la lite. Ma Jacopo ne ha preso uno e, una volta fuori, ha affrontato il gruppo rivale, composto da tifosi atalantini, con cui erano nati screzi di stampo calcistico.
La vittima, secondo il racconto dell’indagato, brandiva una catena. Ma i frame delle telecamere, riferisce il giudice, mostrano solo cinture e fibbie: niente armi contundenti. Anche alcuni testimoni parlano di catene, ma la loro descrizione non corrisponde all’abbigliamento di Claris. Dunque, per il gip, «le dichiarazioni dell’indagato sembrano smentite dai riscontri».
L’autopsia, intanto, chiarisce che il colpo inferto con un coltello da 11 cm non è arrivato alle spalle, ma durante un confronto frontale: «una dinamica da abbraccio». Dopo l’aggressione, Jacopo è fuggito, ha cercato il fratello e la fidanzata di quest’ultimo, poi, su consiglio della madre, si è consegnato ai carabinieri.
Nell’ordinanza si legge di «una condotta connotata da particolare violenza», motivata da futili ragioni e con il rischio concreto di reiterazione del reato e inquinamento delle prove. Per questo, scrive Parati, la detenzione in carcere è necessaria.
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