
Cronaca / Bergamo Città
Giovedì 21 Agosto 2025
Solo una pensione su 5 è sufficiente per pagare badanti o casa di riposo
I DATI INPS. Il 21,6% degli assegni mensili è pari o superiore ai 2mila euro netti, soglia per coprire le spese dell’assistenza. I sindacati: «Serve intervenire».
Invecchiamento e carovita. Quando le fragilità della salute si combinano a quelle sociali, una domanda si staglia all’orizzonte: quante persone riescono a permettersi un’assistenza adeguata in caso di non autosufficienza? La risposta, numeri alla mano, appare tagliente: pochi. O almeno è così se si guarda solo all’importo della pensione: senza altre fonti (assegno di accompagnamento, risparmi, supporto dei figli), solo un pensionato bergamasco su cinque può in teoria sentirsi «tranquillo» di fronte all’eventuale necessità di una badante o di un ricovero in casa di riposo.
I dati
Lo suggerisce la matematica. La base di partenza è nei dati dell’Inps riferiti ai beneficiari di prestazioni pensionistiche, aggiornati alla situazione di fine 2023: su 290.948 bergamaschi che ricevono una pensione (il numero assoluto delle pensioni è più alto perché una singola persona può cumulare più assegni, ad esempio quello di vecchiaia e di reversibilità), solo in 62.799 arrivano a un importo mensile di almeno 2.500 euro lordi, che tradotto al netto significa almeno circa 2mila euro. Ed è una cifra simbolica e allo stesso tempo concreta, questa: è il costo che ormai si deve sostenere, ogni mese, per una retta di Rsa o per una badante regolarmente assunta. In altri termini, solo il 21,6% dei pensionati bergamaschi – appunto, indicativamente uno su cinque – ha un assegno che potenzialmente copre queste spese. Negli altri casi, tocca percorrere strade diverse: c’è la possibilità dell’indennità di accompagnamento (a cui ora si affianca la «prestazione universale» che integra quelle somme, ma le stime parlano di massimo 300-400 beneficiari in tutta la Bergamasca), oppure tocca attingere ai risparmi di una vita o farsi aiutare dai figli. E in futuro andrà sempre peggio, visto che si fanno sempre meno figli e s’invecchia di più. Ma se nemmeno queste alternative sono abbastanza per una badante o l’Rsa? In questo caso, si rischia di scivolare in una condizione difficile, senza sostegno alla condizione di non autosufficienza. Il dato bergamasco è in linea con quello nazionale (in Italia solo il 21% dei pensionati «guadagna» almeno 2.500 euro lordi al mese) e al di sotto della media lombarda (dove si arriva al 25%).
«Siamo di fronte a un’esigua minoranza – rileva Giacomo Meloni, segretario generale della Fnp Cisl Bergamo –, che si assottiglia ancora di più se pensiamo alle donne, la cui pensione è in media circa la metà rispetto a quella degli uomini».
Le difficoltà
È questa la prima preoccupazione di molti anziani, quando la salute vacilla. Lo racconta l’esperienza diretta, con soluzioni a volte d’impatto. «Molte persone fanno fatica – prosegue il sindacalista –, e anzi sta aumentando la vendita della nuda proprietà della propria abitazione per fronteggiare i costi della non autosufficienza. Senza dimenticare che, quando non c’è nemmeno la possibilità di intervento dei familiari, queste situazioni di fragilità ricadono sui Comuni. La sensazione è che nei prossimi anni le difficoltà aumenteranno ulteriormente».
Per questo, «la Cisl e la Fnp – prosegue Meloni – da tempo ribadiscono la necessità di intervenire sulla perequazione e sul fiscal drag (il paradosso per cui quando aumentano pensioni o stipendi si passa in uno scaglione di Irpef più elevato e quell’incremento viene di fatto annullato dalla tassazione, ndr): gli aumenti pensionistici e contrattuali non possono venire fagocitati dal sistema fiscale, di cui peraltro lavoratori e pensionati sono i maggiori “azionisti”. L’invecchiamento attivo e la non autosufficienza devono avere un’adeguata attenzione e adeguati investimenti dalle istituzioni pubbliche».
Anche per Giacomo Pessina, segretario generale dello Spi Cgil Bergamo, c’è una questione istituzionale: «Pensiamo alle case di riposo. La normativa prevede che le Regioni coprano il 50% dei costi che le strutture sostengono per un posto letto (la retta che paga l’utente è in sostanza la differenza tra il costo totale e quanto viene coperto dal contributo pubblico, ndr), ma la Lombardia si ferma alcuni punti percentuali al di sotto di questa soglia: se la Regione aumentasse i contributi alle Rsa, di fatto le rette si alleggerirebbero – ragiona il sindacalista –. Al tempo stesso potrebbero essere messe in atto alcune iniziative regionali, simili a quanto avviene per gli ospedali, come una stazione appaltante per l’acquisto di beni e servizi su larga scala, ottenendo dei risparmi».
«Una legge sulla non autosufficienza c’è – riconosce Pessina –, ma andrebbe finanziata con risorse stabili e certe, così da garantire un giusto sostegno sia all’anziano che entra in casa di riposo sia a quello che rimane al domicilio con l’assistenza di una badante»
Insomma, il nodo di fondo è sempre quello: «Una legge sulla non autosufficienza c’è – riconosce Pessina –, ma andrebbe finanziata con risorse stabili e certe, così da garantire un giusto sostegno sia all’anziano che entra in casa di riposo sia a quello che rimane al domicilio con l’assistenza di una badante». Di «sistema bloccato» parla Pasquale Papaianni, coordinatore territoriale della Uil Bergamo: «Serve affrontare la questione a livello nazionale e regionale, sia facendo chiarezza sulle normative sia sostenendo la non autosufficienza con le giuste risorse. Anche l’invecchiamento rientra nel diritto costituzionale alla salute, assolutamente da tutelare».
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