
(Foto di d’archivio)
I DATI. Nel territorio del distretto che coinvolge le due province sono aumentati del 10,4% i ragazzi entrati nel circuito penale.
Quando quella porta si spalanca, è il punto d’arrivo di una storia spesso precaria, a volte persino drammatica. Ma può essere anche un punto di ripartenza, per costruire un domani diverso. Sono le comunità per minori sottoposti a provvedimento penale, non a caso – ecco la speranza della «ripartenza» – definite educative, proprio perché chiamate a dare una svolta alla traiettoria di vita di questi adolescenti.
Da inizio anno sono stati 318 gli utenti presi in carico per la prima volta, il 10,4% in più rispetto ai 288 dello stesso periodo del 2024
Sono in tutto 12 quelle che punteggiano il distretto giudiziario di Brescia, a cui afferisce anche il territorio della provincia di Bergamo, e queste strutture vivono oggi un presente difficile, venato da più criticità: l’aumento delle richieste si accompagna a una crescente complessità dei casi da affrontare, spesso legati alla compresenza di problematiche psichiche, mentre gli operatori – specie gli educatori – sono sempre meno.
La parabola dei numeri conferma alcune evidenze. Stando agli ultimi dati del ministero della Giustizia, al 15 agosto 2025 l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni di Brescia – che si attiva quando un giovanissimo entra nel circuito penale a seguito di denuncia – seguiva le posizioni di 1.284 tra ragazzi e ragazze, il 6,4% in più rispetto ai 1.207 del 15 agosto 2024; crescono soprattutto i «nuovi», perché da inizio anno al 15 agosto sono stati 318 gli utenti presi in carico per la prima volta (gli altri erano già noti ai servizi, o perché inseriti dall’anno precedente o perché recidivi), il 10,4% in più rispetto ai 288 dello stesso periodo del 2024. A livello regionale – i numeri, in questo caso, sono quelli del Centro per la giustizia minorile di Milano, responsabile per l’intera Lombardia – da inizio anno al 15 agosto sono stati 330 i «collocamenti» nelle comunità a seguito di provvedimenti penali, in aumento del 4,4% rispetto al 2024.
«La domanda di ingressi è ben più alta rispetto alla disponibilità di posti, e al tempo stesso più complessa», premette don Dario Acquaroli, direttore della Comunità Don Milani di Sorisole, al cui interno sono ricomprese tre comunità educative accreditate con la Regione e con il ministero della Giustizia per l’accoglienza di minori in ambito penale, per un totale di 20 posti. Qui, nella realtà principale orobica dedicata a questi inserimenti, «per scelta non occupiamo tutti e 20 i posti solo con il penale, ma preferiamo avere un mix, condividendo gli spazi anche con i minori stranieri non accompagnati (il sistema d’accoglienza per adolescenti migranti giunti in Italia senza parenti, ndr), per non ghettizzare». Sono percorsi, quelli in ambito penale, che possono avere durata parecchio diversa. «Se i ragazzi hanno vicino una famiglia – ragiona don Acquaroli –, capita che affrontino in comunità la misura cautelare (una privazione temporanea della libertà, ndr) e una prima parte della messa alla prova, poi tornano a casa dopo 3-5 mesi. Viceversa, quando si è in presenza di una solitudine i percorsi possono durare anche oltre l’anno».
«La fragilità psicologica è sempre più alta e sta mettendo alla prova anche le stesse comunità educative»
Sempre di più, misurarsi con la «devianza» giovanile vuol dire confrontarsi con una realtà che incrocia difficoltà non solo sociali, ma anche sanitarie. «Molti di questi ragazzi – osserva il sacerdote – hanno anche una presa in carico da parte dei servizi della Neuropsichiatria, e poi dai Centri psicosociali quando diventano maggiorenni, perché la fragilità psicologica è sempre più alta e sta mettendo alla prova anche le stesse comunità educative. Diverse realtà, in altre zone, hanno chiuso perché faticavano a reggere questo passaggio: siamo di fronte a una sfida non indifferente».
Rispetto al passato si coglie un’altra peculiarità recente: «Più che l’aumento quantitativo, è rilevante l’aumento qualitativo – prosegue don Acquaroli –: c’è più violenza nei reati. È un dato che si legge anche nella realtà esterna alle comunità, secondo una fotografia composita: i ragazzi hanno più difficoltà a livello relazionale e psicologico, l’uso di psicofarmaci è in costante aumento, e nel circuito penale vediamo l’amplificarsi di tutti questi aspetti. In altri casi s’aggiunge il mancato inserimento in progetti di accoglienza per migranti: è il caso dei minori stranieri non accompagnati che non hanno avuto percorsi di questo tipo e che perciò si sono ritrovati a vivere in strada, finendo a compiere reati».
È la congiuntura di una tempesta perfetta che sferza le fondamenta delle comunità, gravando sul lavoro quotidiano degli operatori: «È sempre più impegnativo trovare educatori – riconosce don Acquaroli –. Il carico emotivo è alto e a volte sfocia nel burnout, mentre il turnover è forte. È compito nostro, di chi gestisce le strutture, il confronto costante con i professionisti, trovando spazi di ascolto e di rilettura della loro esperienza. È un lavoro prezioso ma probante».
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