Una vita a servizio della città, addio a Cesare Zonca

Si è spento a 85 anni: nel suo studio si sono decise molte operazioni economiche tra le più delicate. Presidente del Creberg per 22 anni, fu un grande appassionato d’arte.

«Il 70 per cento del mio lavoro è dedicato a scrivere atti». Un lavoro che definiva anche parecchio noioso. Così Cesare Zonca, scomparso ieri all’età di 85 anni, rispondeva a chi lo indicava come mediatore o crocevia degli affari di Bergamo, quasi a schermirsi con quei toni sempre pacati e quel sorriso appena abbozzato, a tratti ironico, spesso severo. In realtà nel suo studio di viale Vittorio Emanuele II si sono decisi i destini di molte operazioni economiche di Bergamo: avvocato («l’Avvocato») d’affari (tanti...), finissimo civilista, abile mediatore, uomo di cultura infinita, una delle menti più brillanti della Bergamasca del dopoguerra.

Si è spento nella casa di via Tassis in Città Alta dove viveva con la moglie Anna Maria Coppo: la coppia ha due figli, Stefano e Nicola. Da anni le sue condizioni di salute si erano complicate e aveva diradato le apparizioni pubbliche. A fine 2015, al compimento dei suoi 80 anni, si era cancellato dall’albo degli avvocati ma non aveva mai rinunciato a dare consulenze e pareri.

Semmai aveva trovato più tempo per una delle sue grande passioni, la lettura: divorava libri in quantità industriale, classici e non solo. In un impeto di confidenza una volta aveva raccontato che amava leggere anche Tex Willer seduto nella poltrona di casa davanti a un quadro che adorava particolarmente, e se il discorso si spostava su Joyce e «Gente di Dublino» si perdeva in accurate descrizioni. Anche se alla fine, nelle conversazioni, continuava a preferire Parigi a ogni altra città.

L’esperienza democristiana

Zonca era quello che gli anglosassoni chiamano «civil servant», un uomo che ha messo le proprie competenze al servizio della comunità. Studi classici, laurea in giurisprudenza a Milano con una tesi sul diritto d’autore nell’ambito del cinema, altra sua grande passione insieme all’arte. Classe 1935, figlio di Giovanni, medico oculista, senatore democristiano e sottosegretario in ben 4 governi a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, milita anche lui nella Dc, corrente morotea, e dal 1970 al 1975 è capogruppo a Palafrizzoni. Proprio in quegli anni cominciano però a manifestarsi i problemi al cuore che segneranno la sua vita.

Messa un attimo in disparte l’attività politica, si dedica così a quella legale: il suo studio di via Verdi diventa un punto di riferimento. Dal lato opposto della strada c’è quello del collega Mario Caffi, altro pezzo da Novanta. In sostanza nel giro di pochi metri si fanno e si disfano gli affari di mezza città. Poi Zonca si sposta sul viale e il cerchio si allarga.

Le grandi (e tante) passioni

Tra le sue passioni ci sono state le banche e le barche. Al Credito Bergamasco ha dedicato tantissimo della propria vita, presidente dal 1992 alla fusione per incorporazione del 2014 in Banco Popolare e prima ancora nel Cda della Bpl.

Quando parlava invece di vele e mare si illuminava: nel 2019 Palafrizzoni gli aveva conferito la medaglia d’oro e sullo schermo del Teatro Sociale c’era una sua foto in tenuta da barca, scelta personalmente. Una sua passionaccia, come quella per l’arte che ha concretizzato nella presidenza della Fondazione Credito Bergamasco e nel suo costante impegno per la valorizzazione e il rilancio della Carrara, «il mio Vietnam» come amaramente ammesso in un’intervista.

Ma Zonca era un uomo di relazioni, quello che si direbbe un fine tessitore, molto concreto però e capace di tirare sferzate memorabili ad una città che amava davvero molto, come quando l’aveva definita «impermeabile» all’ascolto. Da sempre vicino al centrosinistra, si era speso nel 2004 per la nascita de «L’Aratro», bizzarro (a tratti) soggetto politico costituito per dare un’alternativa civica al centrodestra e che, dopo una discreta serie di nomi bruciati in corsa, aveva trovato l’intesa sul nome di Roberto Bruni, vincendo pure le elezioni. Antileghista convinto (a volte viscerale), si era dato da fare anche per vincere le ultime resistenze di Giorgjo Gori alla candidatura del 2014.

Nel suo studio si sono decise, tra le altre cose, la fusione di Bas in Asm, il testo del Patto di sindacato (da lui materialmente redatto dopo un lavoro di regia di Mario Ratti) che regola ancora oggi i destini dell’aeroporto, altro suo grande amore professionale, che l’ha visto nel Cda di Sacbo fino al 2017 sottolineando più volte la necessità di allargare gli orizzonti e agire sul piano delle alleanze. Tra le cose curiose, nel 2005 si era pure occupato di Atalanta, cercando vanamente un’intesa tra Ivan Ruggeri e Antonio Percassi. Il bello è che li rappresentava entrambi, lui che definiva la squadra «solo undici persone che corrono dietro a un pallone». Nulla di più. Preferiva gli orizzonti del mare, quello aperto. Infinito.

Su L’Eco di Bergamo del 2 giugno 6 pagine di ricordi e testimonianze

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