
Cronaca / Valle Seriana
Sabato 26 Aprile 2025
«Ci ha aiutato a capire dove sta l’essenziale»
IL RICORDO . Gli incontri con i sacerdoti bergamaschi incardinati nella diocesi di Roma: don Fabio Pulcini, di Nembro, e don Giulio Villa, di Bonate Sotto.

Roma
Quando 12 anni fa salutò i fedeli per la prima volta, in Piazza San Pietro, Francesco si rivolse ai fedeli con queste parole, entrate nella storia: «Il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo… ma siamo qui…». In quella frase c’era già un disegno: Josè Mario Bergoglio sottolineava sia la necessità di un cambio radicale di visione, che nel suo caso di uomo di Chiesa radicato nella tradizione latinoamericana, aveva anche un fondamento profondamente esistenziale, sia la sua investitura a Vescovo di una diocesi popolosa (quasi 4 milioni di abitanti), accogliente, vivace, capace di custodire tradizioni millenarie e allo stesso tempo di aprirsi a logiche cosmopolite.
Una dichiarazione di intenti
Quella prima frase di Francesco era rivolta anche e soprattutto a loro, ai fedeli della nuova diocesi che i Cardinali gli avevano affidato. Avrebbero presto scoperto di che pasta era fatto il loro nuovo Vescovo. Quella frase pronunciata la sera del 13 marzo 2013 davanti a una folla immensa non era solo una battuta di spirito, era una dichiarazione di intenti, un voler scendere dal piedistallo e incarnare la visione di Vescovo come servitore del popolo di Dio, secondo lo spirito conciliare. E presto si capì come Francesco aveva inteso interpretare la sua missione nella città di Roma: uscite improvvise, telefonate, visite a sorpresa. Uno stile inedito, diretto, non sempre compreso, ma che colpì sicuramente l’immaginario in modo indelebile.

Tra chi ha avuto la possibilità di osservare da vicino il Bergoglio Vescovo ci sono anche i laici, i religiosi e i sacerdoti bergamaschi che nella capitale lavorano e vivono, impegnati nella cura delle anime o in compiti istituzionali o nello studio. Fino a qualche anno fa al clero della diocesi di Bergamo erano affidate due parrocchie romane, San Giustino (fino al 2020) e San Basilio (fino al 2010). Attualmente invece i sacerdoti bergamaschi sono incardinati nella diocesi di Roma, impegnati in servizi in parrocchie diverse, da Roma Nord alla Garbatella, dal Divino Amore a Tor Cervara.
«Roma è un incontro di esperienze religiose e di culture molto diverse, qui devi mantenere una mentalità aperta, ma allo stesso tempo portare anche il tuo bagaglio di esperienze: io per esempio, cresciuto all’oratorio, mi sono trovato di fronte a una realtà diversa, con una sua storia, delle sue originalità, ho capito che la chiave era un approccio di umiltà». D on Fabio Pulcini, di Nembro, una laurea in Giurisprudenza, è stato ordinato a Roma l’anno scorso, e da un anno svolge il suo servizio a Roma Nord, nella parrocchia di Gesù Bambino, nel quartiere residenziale di Sacco Pastore (Monte Sacro). «Le parrocchie romane non sono vaste, la mia si gira comodamente a piedi o in bicicletta, ma sono molto densamente popolate: qui abitano 15mila persone. Ma non è un quartiere dormitorio, tutt’altro… Ci sono questi grandi palazzi, che fuori sembrano tutti uguali, ma poi quando entri negli appartamenti trovi tanti mondi diversi…».
L’ultima volta in Santa Marta
Don Fabio, che ha fatto il seminario a Roma, ha avuto occasione di incontrare Papa Francesco più volte, l’ultima l’anno scorso, in Santa Marta, quando il Pontefice aveva rivolto agli ordinandi delle raccomandazioni per un ministero «in mezzo alla gente», per un dialogo «sincero e trasparente tra noi e anche con i nostri superiori». Ma la frase che più gli è rimasta impressa risale a qualche anno fa, al suo primo anno di Seminario a Roma: «Era venuto a salutarci dopo aver incontrato il clero romano. Poi aveva pranzato con noi, mentre usciva gli siamo corsi dietro e abbiamo iniziato a fare dei cori festosi. Lui scherzando si rivolse al nostro rettore e disse: “Non so se sono buoni o cattivi, ma almeno sono normali”».
Don Giulio Villa invece è un veterano della capitale. Originario di Bonate Sotto, svolge servizio a Roma dal 1988. Fino al 2010 è stato a San Giustino, poi è stato assegnato a San Domenico e attualmente è parroco a Santa Bernardette, a Tor Cervara, 25mila abitanti, una «realtà molto bella e viva». Anche don Giulio serba un ricordo particolare di Francesco, perché il Papa fece una visita alla sua parrocchia, l’anno scorso. «Il Papa aveva programmato degli incontri informali in città, in vista del Giubileo, con i bambini, con le famiglie e con i giovani. Ebbene, per i giovani scelse proprio la nostra parrocchia e fu un momento davvero speciale. Noi l’abbiamo saputo qualche giorno prima, ma eravamo tenuti al segreto. Abbiamo fatto capire ai ragazzi che ci sarebbe stato un incontro importante, ma per loro fu proprio una sorpresa».
C’è una bella fotografia di un gruppo festoso di giovani raggruppati intorno a Francesco che spicca nella sua veste bianca. Non sono loro ad essere andati da lui, ma è lui che li ha cercati e voluti per poterli ascoltare guardandoli negli occhi. «La grandezza di questo Papa è proprio questa - conclude don Giulio -: ci ha aiutato a comprendere dove sta l’essenziale della nostra vita cristiana».
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