
( foto colleoni)
LE TESTIMONIANZE. Bertocchi pensava che la moglie Elena lo tradisse: almeno due o tre colpi hanno raggiunto la donna al petto. Una persona vicina alla famiglia: «L’arma mai intera per evitare che i figli la toccassero. Ha forse premeditato?».
Cene
«Rubens la pistola la teneva sempre smontata in casa: da quando aveva fatto il porto d’armi e aveva iniziato ad andare al poligono, era molto ligio e non voleva succedessero incidenti o che i figli per sbaglio la toccassero. Per questo non l’aveva mai a casa montata. Mi chiedo quindi se avesse premeditato quello che ha poi fatto». A parlare è una persona molto vicina alla famiglia di Rubens Bertocchi ed Elena Belloli, marito e moglie di 54 e 52 anni morti giovedì pomeriggio nella loro casa di Cene, lei uccisa da lui che si è poi suicidato.
Nell’appartamento al primo pianto di via Fanti 43, sopra i locali dell’ex negozio di alimentari gestito fino a qualche anno fa da Bertocchi (che ora invece lavorava come portinaio in un palazzo di Bergamo), i carabinieri hanno trovato in tutto 7 bossoli. Dunque il cinquantaquattrenne ha sparato per sette volte con la sua semiautomatica calibro 22, un modello che può contenere fino a dieci proiettili. Dalle prime analisi sui corpi (le conferme e i dettagli si avranno però soltanto dalle autopsie, non ancora fissate), Elena sarebbe stata raggiunta da almeno due spari al petto: macchie di sangue sul collo fanno ipotizzare anche un terzo foro, ma sarà appunto l’autopsia a fornire risposte. Il calibro 22 è molto piccolo: non causa rumori forti nello sparo (ecco perché i colpi non sono stati uditi fuori dalla casa, se non da una vicina) e le ferite che provoca sulla pelle sono molto ridotte. Fatto sta che ci sono almeno altri tre spari a vuoto. Dopodiché Bertocchi ha rivolto l’arma verso il proprio petto, premendo per l’ultima volta, la settima, il grilletto.
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Prima di quest’ultimo gesto ha inviato con il suo cellulare un messaggio a un amico comune della coppia e il cui tenore si può sintetizzare così: «Ho scoperto che mi tradiva, l’ho uccisa e ora mi sparo». Chi l’ha ricevuto ha subito avvisato i carabinieri, ma ormai era troppo tardi. Una vicina aveva avvertito il figlio maggiore della coppia, che era nella taverna di casa con un’amica e non aveva sentito nulla: salito di sopra, la porta di casa era chiusa e ha avvisato a sua volta il 112. Per i genitori, però, non c’era più nulla da fare.
Bertocchi non aveva mai avuto problemi con la giustizia né i carabinieri erano stati a casa della coppia per litigi: in questi casi, infatti, il porto d’armi gli sarebbe stato ritirato. Invece, benché negli ultimi tempi non ci andasse spesso, aveva frequentato il poligono. I carabinieri di Clusone e Bergamo, coordinati dal sostituto procuratore Giampiero Golluccio, stanno cercando di fare luce sulle ore e i giorni precedenti il dramma, per capire quanto fosse fondata l’ipotesi della relazione extraconiugale alla base, stando all’ultimo messaggio di Bertocchi, dell’omicidio della moglie. Fino a venerdì di conferme in tal senso gli inquirenti non ne avevano: tanto che non è escluso che fosse soltanto frutto di una convinzione dello stesso cinquantaquattrenne. Anche l’amico di famiglia che ha ricevuto il messaggio-confessione da Bertocchi non ha nulla a che fare con il presunto tradimento.
Venerdì mattina, tra le dieci e le tredici, sono stati convocati in caserma i familiari della coppia: il figlio maggiore, i genitori di lei e la sorella di lui, tutti residenti nel caseggiato che si affaccia sul cortile al 43 di via Fanti. Un vicino di casa parla senza mezzi termini di «tegola che ci è piombata sulla testa all’improvviso». E aggiunge che « non li avevo mai sentiti litigare , anche se qui i muri sono spessi e non si sente nulla fuori anche quando io sento la musica ad alto volume».
Difficile dunque capire se ci sia stata una vera e propria lite anche nel pomeriggio di giovedì prima delle 17, quando si è consumata la duplice tragedia. Forse Bertocchi si era messo in mente che la moglie – di professione geometra in uno studio di ingegneria di Cene – avesse una relazione con qualcuno e, in un momento di rabbia, ha montato la pistola e l’ha uccisa. I cellulari di marito e moglie (erano sposati da 23 anni) sono stati posti sotto sequestro (così come il loro appartamento) e sono stati «congelati» perché possa essere realizzata quella che in gergo tecnico si chiama «copia forense». Vale a dire una copia perfetta del contenuto degli smartphone, che potranno così essere analizzati a fondo a partire proprio dai messaggi inviati e ricevuti ma anche, qualora la localizzazione fosse attiva, per capire gli spostamenti delle ore precedenti l’omicidio-suicidio.
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