
(Foto di Ansa)
MONDO. Anche riguardo alle guerre, sono legittime opinioni diverse che pongono l’accento su alcuni fatti piuttosto che su altri. Ma i fatti restano tali e vanno riconosciuti, tanto più quando riguardano la vita delle persone.
L’Onu ha certificato che nella Striscia di Gaza c’è una carestia conclamata «interamente provocata dall’uomo», la quinta negli ultimi 40 anni nel mondo, preceduta da quelle in Sud Sudan (2017), Somalia (2011), Corea del Nord (1995) ed Etiopia (1984). Il pronunciamento si basa sulla Classificazione integrata della sicurezza alimentare, un sistema di monitoraggio sviluppato dalla Fao al quale contribuiscono le agenzie delle Nazioni Unite e le ong coinvolte nella lotta alla fame. Il livello 5 (il più alto) di malnutrizione riguarda mezzo milione di palestinesi a Gaza City e 132mila bambini sotto i 5 anni. Un altro milione, il 54% della popolazione, è in emergenza (livello 4), 396mila in crisi (livello 3). La fame è particolarmente pericolosa per i più piccoli: il loro sistema immunitario indebolito è più vulnerabile alle malattie. Ci sono conseguenze anche a lungo termine perché potrebbero avere ritardi nella crescita fisica. Qualora riuscissero a riguadagnare peso, è possibile che incorrano in disturbi dello sviluppo cognitivo. Fra questo mese e settembre, gli esperti si aspettano un peggioramento della situazione: saranno 641mila i gazawi più esposti alla fame. Soprattutto se, come minaccia il ministro della Difesa Israel Katz, «a Gaza City si stanno per aprire le porte dell’inferno». Del resto fra decine di migliaia di vittime dei bombardamenti e la distruzione dell’80% degli edifici, la Striscia è già un inferno.
Benjamin Netanyahu ha liquidato il rapporto dell’Onu, redatto da esperti indipendenti, come «una menzogna totale». Ma ci sono frasi di suoi ministri che hanno il suono dell’auto denuncia: Bezalel Smotrich disse che «nessuno ci lascerà causare la morte per fame di due milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale, finché i nostri ostaggi non saranno restituiti». E Moshe Saada, parlamentare del Likud, il partito del premier, in tv dichiarò: «Sì, farò morire di fame gli abitanti di Gaza, sì, questo è un nostro obbligo». Nella Striscia dovrebbero entrare 600 camion di aiuti umanitari al giorno ma anche quando non sono stati adottati blocchi totali, non hanno mai superato l’ottantina. Il governo di Tel Aviv attribuisce la responsabilità agli assalti ai beni da parte di Hamas, che renderebbero impossibile ingressi adeguati. Ma se l’organizzazione islamista è ancora così incisiva, a cosa sono serviti morti e distruzioni, con la prospettiva non della pace ma dell’espulsione dei gazawi, la cancellazione definitiva delle condizioni di un possibile Stato palestinese spezzando in due la Cisgiordania con 3.500 nuovi insediamenti? Il punto finale è la Grande Israele, progetto caro agli ultra nazionalisti: l’Europa, che ha finalmente preso posizione contro le politiche di Netanyhau ma senza mettere in atto azioni, dovrebbe chiedere conto al premier di ufficializzare l’obiettivo ultimo della guerra, perché avrà ricadute anche sul Medio Oriente e sull’area mediterranea.
In generale servirebbe un dibattito pubblico informato e all’altezza della tragedia. I territori non sono lande deserte ma abitate. Vale anche per l’Ucraina: è improprio parlare di «scambio di territori» con la Russia per porre fine al conflitto, perché il 18% del Paese invaso due volte (2014 e 2022) e annesso illegalmente dal Cremlino, secondo il diritto internazionale è proprietà di Kiev. Vi è in corso un violento processo di russificazione: carcerazioni arbitrarie, torture e sparizioni, perdita di proprietà e di assistenza sanitaria per chi non prende il passaporto degli invasori, come denunciato dall’Onu e dalla Croce Rossa Internazionale. Con la cessione di terra o il congelamento della linea del fonte, che ne sarà dei suoi 5 milioni di abitanti? Nel dibattito pubblico non c’è traccia di questo tema che riguarda il destino delle persone: si discute di territori come se ci si trovasse dentro una sfida a Monopoly.
Chi ha il privilegio di vivere fuori dalle guerre, non può abdicare alla propria umanità in nome di ideologie settarie
Chi ha il privilegio di vivere fuori dalle guerre, non può abdicare alla propria umanità in nome di ideologie settarie. Non dovrebbe risultare difficile immedesimarsi con le vittime, da quelle del 7 ottobre 2023 a quelle di Gaza agli ucraini. In fondo la pace cosa è se non la condizione esistenziale nella quale la vita dei popoli è preservata dal male dei conflitti? Una condizione che va difesa con la forza del diritto contro il diritto della forza. Sempre: per ricostruirla serve un tempo infinito.
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