La parata di Mosca e la frattura insanabile

MONDO. È una frattura insanabile. Almeno per i prossimi decenni. Altro che «riconciliazione inevitabile». Anche il pur volenteroso Trump se ne sta rendendo conto a sue spese. Russi ed ucraini sono riusciti a litigare persino sull’80° anniversario della vittoria dell’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale.

Sono volate parole grosse e minacce di cancellazione dalla faccia della Terra. Giusto per rovinare la festa - fatta assurgere negli ultimi due decenni a «collante» della patria russa post sovietica -, Zelensky ha affermato di non essere in grado di garantire la sicurezza «degli amici di Putin», presenti alla parata sulla piazza Rossa. Gli ha risposto con i soliti toni l’ex presidente Medvedev che, in caso di «vera provocazione», Kiev non avrebbe visto il sorgere del 10 maggio. Bel modo di ricordare una disgrazia apocalittica che ha causato 27 milioni di tragedie umane comuni. È infatti unico il tributo di sangue, pagato dai popoli sovietici nei 4 anni della guerra più spaventosa che l’umanità abbia mai osservato.

Il nazionalismo di Putin

Oggi nel mondo si pensa tanto alle divisioni del presente e - in Russia in particolare - ad elogiare le grandezze della superpotenza che non c’è più e della superpotenza che si vorrebbe essere e non lo si è. La propaganda del Cremlino sta inoltre cercando di legare la vittoria sul nazifascismo con la lotta contro il «nazifascismo di oggi» in Ucraina. Ma non solo. Domenica sera scorsa in tivù è andata in onda un’intervista a Vladimir Putin dal suo appartamento privato al Cremlino, il cui obiettivo era anche quello di saldare le celebrazioni dell’80° con quelle per i suoi 25 anni al potere. In breve, sono in corso in contemporanea più operazioni culturali e mediatiche con scopi che saranno i posteri a giudicare. Ecco perché Zelensky ha rifiutato la proposta del Cremlino di tre giorni di tregua in occasione del 9 maggio, rilanciandone un’altra di un mese «se Putin desidera realmente la pace».

Mosca e Kiev si sono addirittura messe in competizione su chi riuscirà ad avere come ospiti il maggior numero di Capi di Stato stranieri alle manifestazioni e contro-manifestazioni pubbliche organizzate. Una ventina di leader, quasi tutti gli ex sovietici, saranno in Russia; mentre gli occidentali saranno in massa in Ucraina.

«Che almeno non ci sia la guerra» si sentiva spesso invocare la gente quotidianamente nei quattro angoli dell’Urss. Ma la lezione dell’apocalittico passato è stata dimenticata. Secondo alcune rilevazioni occidentali, dal febbraio 2022 i russi hanno perso tra morti e feriti un milione di uomini, mentre gli ucraini circa 250mila. E la cosa grave è che non la si vuol finire. Pur stremati, c’è l’intenzione di andare avanti, nonostante un successo sul campo di battaglia non venga considerato possibile dagli esperti militari.

Così, per giustificare un presente complicato, ci si è aggrappati alla storia. La vittoria del ’45 è stata riscritta da Putin come in precedenza, nel 2021, il Capo del Cremlino aveva fatto con un articolo sul rapporto tra russi, ucraini e bielorussi, da lui considerati tutti insieme un «unico popolo». La storia, si sa da sempre, va lasciata ai professionisti del settore. I politici rischiano di strumentalizzarla.

Stando ad una dichiarazione di questi giorni di Putin, «la riconciliazione» con gli ucraini è «inevitabile». Ma allora perché ci si spara ancora addosso? Il vero problema è un altro: il Capo del Cremlino non riesce a comprendere che l’Ucraina è uno Stato sovrano. Il divorzio da Mosca c’è stato nel 1991. È venuto il tempo di accettarlo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA