L'Editoriale
Domenica 21 Dicembre 2025
L’abisso di Gaza, servono risposte urgenti
MONDO. Una tempesta con piogge incessanti e forte vento si è abbattuta sulla Striscia di Gaza, allagando rifugi improvvisati e spazzando via 27mila tende, provocando decine di morti.
Secondo il «Site management cluster», un organismo che fa capo all’Onu e coordina l’assistenza e la sicurezza nei luoghi in cui si rifugiano le famiglie sfollate, sono 750mila i palestinesi a rischio inondazioni. Si aggiunge il freddo che ha provocato la morte di una ventina di persone per ipotermia, fra le quali bambini. La natura si abbatte su un popolo annichilito da oltre due anni di incessanti bombardamenti in una delle zone più densamente abitate al mondo, ai continui sfollamenti e alla fame. Una tragedia che non ha precedenti nella storia recente per intensità dei raid nell’arco di 48 mesi. Ma la natura ha colto persone in luoghi scoperti, senza più muri di protezione perché il 90% degli edifici della Striscia è stato distrutto. Se l’obiettivo dei bombardamenti era l’eliminazione di Hamas, non è stato raggiunto: liberati gli ostaggi, l’organizzazione islamista controlla, seppur indebolita, quasi il 50% del territorio mentre la parte restante è presidiata dall’esercito israeliano.
a natura si abbatte su un popolo annichilito da oltre due anni di incessanti bombardamenti in una delle zone più densamente abitate al mondo, ai continui sfollamenti e alla fame
Qui non si sono mai fatti sconti ad Hamas, dalla raffica di attentati kamikaze che investì Israele, al pogrom del 7 ottobre, alle esecuzioni di gazawi accusati di collaborazionismo col nemico o di opporsi al dominio nella Striscia. Ma proprio nel giorno della caccia armata nei kibbutz e nell’area del Nova festival, Benjamin Netanyahu replicò annunciando non giustizia ma «una poderosa vendetta» per «fare di Gaza terra bruciata»: questo obiettivo è stato raggiunto con l’uccisione anche di migliaia di bambini. Le parole del premier israeliano sono state accompagnate da quelle di suoi ministri, dello stesso tenore. Il risultato è che oggi Gaza è un buco nero sulla cartina del mondo, dove la sopravvivenza è una lotta quotidiana, un abisso dal quale non si vede risalita. La fase due del Piano Trump non decolla perché non si riesce ad allestire la Forza di stabilizzazione che dovrebbe garantire l’avvio della rimozione di 68 milioni di tonnellate di detriti, secondo il Programma di sviluppo dell’Onu, la ricostruzione e in primis un’assistenza umanitaria che corrisponda alla grave emergenza. Veti a possibili Stati aderenti e il nodo delle armi pesanti in possesso di Hamas, tengono in sospeso il passaggio da quella che è stata definita tregua (da quando è scattata, nell’ottobre scorso, 400 vittime fra i palestinesi, anche persone solo sospette, per ammissione dell’esercito israeliano) alla ricostruzione. Due milioni di persone restano così nel limbo con la sola responsabilità di essere nate in un luogo ma sottoposte ad una punizione collettiva. Servono risposte urgenti: è una tragedia che dovrebbe interrogare i governi, immobili in questi due anni di massacri, incapaci di unirsi per cercare altre vie che non fossero quelle di assecondare la vendetta, foriera di altri disastri oltre che di vite segnate per sempre da una condizione di sopravvivenza inaccettabile.
Serve un approccio che sia pre politico, riumanizzare le risposte per ridare valore ad ogni vittima, anche per rimediare a silenzi e complicità che hanno riportato la storia indietro
Chi nella Terra Santa è impegnato a costruire relazioni e conoscenza fra i due popoli - antidoto ad ogni ideologia fondata sulla violenza auto legittimata - mette al centro della propria azione il riconoscimento dell’altro, della sua dignità e dei suoi diritti in un fazzoletto di mondo bagnato di sangue e ammorbato dall’odio. Serve un approccio che sia pre politico, riumanizzare le risposte per ridare valore ad ogni vittima, anche per rimediare a silenzi e complicità che hanno riportato la storia indietro. La strategia del presidente degli Stati Uniti, pace in cambio di affari, è cinica, priva di ideali e rappresenta l’oblio definitivo di ogni residuo senso di giustizia, anche nelle parole. Ma sarebbe momentaneamente digeribile se portasse davvero alla pace, mentre finora si sono visti solo gli affari. La pace richiede l’eliminazione delle condizioni che possono generare la guerra.
In Oman, Qatar e Arabia Saudita, la «Trump Organization» ha firmato contratti per miliardi di dollari con fondi sovrani e finanzieri locali. E il fondo di investimento di Jared Kushner, genero del capo della Casa Bianca, imprenditore e consulente dell’Amministrazione americana, con un ruolo di primo piano nei negoziati su Gaza, ha ricevuto miliardi dai fondi sovrani del Qatar e dell’Arabia Saudita e da un membro di spicco della famiglia Al-Nahyan, al potere ad Abu Dhabi. Tanto zelo (affaristico) da parte di firmatari dell’accordo a Sharm el-Sheikh a metà ottobre, tra sfarzi e trionfalismi cinici, finora non ha avuto alcuna ricaduta positiva concreta sulla vita degli abitanti di Gaza. La diplomazia privatizzata e del marketing e le immagini che arrivano dalla Striscia non sono conciliabili.
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