Le guerre oscurate, rassegnarsi o agire

MONDO. Ognuno di noi ha un limite alla sopportazione del proprio dolore, tanto più a quello del prossimo.

Funzioniamo così, con un campanello d’allarme che ci avvisa del limite raggiunto. Un confine che solo alcune persone, per resistenza e vocazione, riescono a superare. In questi tempi tragici siamo inondati di notizie dalle aree di guerra, in Europa e nel Vicino Oriente. Altri conflitti invece non bucano il silenzio delle cronache, per il proverbiale provincialismo italiano e quindi dei media. Salvo poi sorprendersi e lamentarsi degli effetti di quei conflitti quando producono migrazioni nei nostri territori. Dal Sudan e dal Congo giungono rapporti di organismi internazionali e di organizzazioni non governative che denunciano vasti crimini sui civili, in particolare violenze su donne e bambini, milioni di persone in pericolo di vita, fame e assenza di cure mediche.

Il conflitto Israele-Iran

La nuova guerra, fra Israele e Iran, adombrando il pericolo di un conflitto regionale di lunga durata, ha oscurato le notizie da Gaza e dall’Ucraina. Eppure nella Striscia non si fermano le stragi di palestinesi, con l’aggiunta atroce di chi viene ucciso accorrendo disperatamente nei luoghi di distribuzione degli aiuti umanitari. L’Onu in un rapporto dei giorni scorsi ha dichiarato che in Ucraina nei primi cinque mesi del 2025 (da quando Donald Trump è di nuovo presidente degli Usa...) il numero delle vittime civili dei bombardamenti russi è aumentato del 50% rispetto allo stesso periodo del 2024. Il record tragico ad aprile, con 1.389 vittime - 221 morti e 1.168 feriti - seguito da maggio con 1.019 civili colpiti, di cui 183 morti. Perché queste due guerre non trovano soluzione ma, se possibile, scivolano verso baratri ancora più profondi? Perché la loro natura non è semplicemente reattiva come sostengono parte degli «esperti» e dell’opinione pubblica. Dopo il pogrom del 7 ottobre 2023 compiuto da Hamas, Benjamin Netanyahu non disse solo «distruggeremo Hamas» ma anche «trasformeremo Gaza in un’isola deserta, Israele si vendicherà in modo poderoso». L’estrema destra religiosa che tiene in piedi il suo governo spinge per la ricolonizzazione di Gaza e per l’annessione della Cisgiordania, risolvendo il conflitto con la cacciata di un popolo.

La posizione della Russia

Vladimir Putin invece, ormai rassicurato dall’avere negli Usa di Trump un negoziatore che si comporta da alleato, è tranquillo al punto di ammettere (in un incontro con le maggiori agenzie di stampa internazionali a San Pietroburgo) che non considera il riarmo della Nato come una «minaccia per la Russia». E l’altro ieri ha affermato che Mosca «non cerca la capitolazione dell’Ucraina, ma solo il riconoscimento delle realtà emerse sul terreno. I russi e gli ucraini sono un unico popolo e in questo senso tutta l’Ucraina è nostra» secondo un mantra secolare del nazionalismo al quale si ispira il Cremlino. Peraltro la Russia, a differenza di Israele, dalla Seconda guerra mondiale al 2022 non è stata raggiunta da un solo proiettile partito da Stati vicini o prossimi ma è riuscita a far passare nelle opinioni pubbliche - in particolare in Italia - la narrazione vittimistica di essere a rischio militare. Incredibile, ma è successo. Mentre viene contestato il riarmo dell’Europa, scomposto, Mosca prevede un incremento del 150% delle spese militari nel prossimo trienno: a questa voce dedica già il 7% del Pil nazionale, missili e droni esplosivi vengono lanciati in grande quantità su edifici civili ucraini da oltre tre anni, al punto di doverli anche importare.

A fronte di questa deriva ci sentiamo impotenti

Come possiamo rispondere? Innanzitutto evitando di incattivire il dibattito sui conflitti (un bel paradosso...) tenendoci alla larga dalla violenza verbale e da posizioni settarie che non aiutano a ricercare la giustizia. Poi va difeso ciò che funziona, ad esempio la Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja oggetto invece di discredito da parte di Stati. «Per lo smantellamento di alcuni principi tra qualche anno ci sarà un conto da pagare» ha detto il magistrato italiano Rosario Salvatore Aitala, vice presidente della Cpi. La Corte non agisce per partito preso ma in base a prove che l’hanno portata a emettere mandati di arresto nei confronti di tre capi di Hamas (le menti del 7 ottobre, nel frattempo uccise dall’esercito a Gaza), di Netanyahu (per l’uso della fame come arma di guerra nella Striscia) e di Putin (per il trasferimento di migliaia di minori ucraini a forza in Russia).

Il richiamo alla diplomazia perché agisca è doveroso ma va rivolto a tutti gli attori, non solo occidentali, che possono giocare un ruolo per sedare i conflitti. Andrebbero poi ascoltate e sostenute organizzazioni e associazioni locali che nei teatri di guerra agiscono da tempo per favorire l’incontro con l’altro e il reciproco riconoscimento, che si oppongono a poteri violenti e revanscisti. Lamentano di essere state lasciate sole e da soli non andremo lontano.

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