Le parole pro Putin, le omissioni sono gravi

MONDO. Mariupol è uno dei luoghi simbolo dell’Ucraina martoriata. L’assedio russo iniziò il 24 febbraio 2022, primo giorno dell’invasione su larga scala, e terminò il 20 maggio successivo con la resa dell’esercito difensore.

La città, nel Donbas è stata distrutta all’80%: furono bombardati anche l’ospedale di maternità e il Teatro d’arte drammatica, dove si erano rifugiati un migliaio di civili. Le vittime nell’edificio, intorno al quale era stata disegnata una grande scritta («Bambini») a tutela almeno dei più piccoli, furono 600. Amnesty International definì il raid «un chiaro crimine di guerra». La Croce Rossa internazionale invece descrisse come «apocalittiche» le condizioni dei residenti durante l’assedio: nascosti nelle cantine, per settimane sopravvissero ai massicci bombardamenti privi di acqua, cibo e corrente elettrica. Mariupol aveva 500mila abitanti, oggi sono circa 80mila, e fa parte di quel 20% di Ucraina annessa militarmente e illegalmente alla Federazione russa. Dalla città risultano scomparse 20mila persone: un’inchiesta giornalistica della «Associated press» condotta con sistemi satellitari, vi ha individuato migliaia di tombe. Padre Rostyslav Spryniuk, direttore della Caritas di Mariupol (la sede fu bombardata da un carro armato russo appostatosi di fronte), sfollato a Zaporizhia, ha raccontato che due sue volontarie sono state portate a forza in Russia e che le ruspe hanno liberato i resti di edifici distrutti insieme ai corpi di persone vittime dei bombardamenti.

Giovedì scorso al Festival della gioventù a Sochi, l’artista di strada Ciro Cerullo, noto come Jorit, ha realizzato il suo grande desiderio di una fotografia che lo immortala insieme a Vladimir Putin, «per poter dimostrare in Italia che lei è umano come tutti e la propaganda su di lei è falsa». In un’intervista ha elogiato la bellezza di Mariupol, dove ha realizzato un murales: la città per lui «è un luogo ideale per una vacanza». Sarebbe più serio definirlo un luogo di dolore. Due settimane fa Irene Cecchini, 22 anni, di Lodi, studentessa di Relazioni internazionali a Mosca, a margine del forum «Idee forti per tempi nuovi» nella capitale russa, dopo essere stata premiata dallo zar per un suo lavoro, ha dichiarato: «Quella che vedete in Italia non è la realtà: qui si sta benissimo. È un Paese libero che dà opportunità a tutti». «La Russia non ha fatto altro che difendersi» ha detto a proposito dell’invasione dell’Ucraina.

I due giovani fanno parte del partito pro Putin che in Italia ha molti rappresentanti, anche di peso. Lo fu Silvio Berlusconi, per il quale i missili e i droni esplosivi che martoriano l’Ucraina sono responsabilità di Zelenksy e non di chi ha ordinato la brutale aggressione. Lo è l’attuale vice premier Matteo Salvini: in Putin vede l’uomo forte al comando, capace di garantire sicurezza al suo popolo. Il leader della Lega il 18 ottobre 2014 scrisse questo messaggio sulla sua pagina Facebook: «Un saluto dalla Piazza Rossa! Mosca, città pulita: non c’è un lavavetri, non c’è un Rom, non c’è un clandestino. Di notte le ragazze prendono la metropolitana e tornano a casa tranquillamente senza il terrore. Qui Mare Nostrum non c’è!» in riferimento alla grande azione di salvataggio di naufraghi nel Mediterraneo, poi archiviata (nel 2023 nel mare che bagna l’Italia sono affogati 3.129 migranti...). La Lega inoltre ha in essere un rapporto di cooperazione con «Russia Unita», il partito dello zar. Ma le simpatie per il capo del Cremlino sono trasversali, talvolta non dichiarate: in lui si vede lo scardinatore di un ordine mondiale a guida americana, dimenticando che quell’ordine è già stato modificato dall’ascesa della Cina.

È indubbio che in Russia si possa vivere bene e in libertà: basta non contestare il presidente pubblicamente e nettamente. Ma la parola propaganda oggi è un mantello che copre tutto: ogni evidenza è sospettabile e nulla è vero, solo le proprie opinioni lo sono. C’è anche la propaganda occidentale che però è correggibile dal suo interno. Quella moscovita no e fa presa soprattutto nei social con migliaia di accertati «troll» russi: fra i Paesi dell’Unione europea, l’Italia vanta il maggior numero di contenuti rimossi proprio dai social nel primo semestre 2023. Mercoledì scorso il giornalista russo Roman Ivanov è stato condannato a 7 anni di carcere per tre post pubblicati sui social nei quali criticava l’invasione dell’Ucraina. Secondo «Memorial», la più prestigiosa organizzazione per i diritti umani russa, sono 600 i prigionieri politici nell’ex Urss.

Nei 24 anni di potere di Putin, un solo giornale moscovita (Novaja Gazeta, costretto a chiudere per decreto nel 2023) ha pianto l’uccisione di sei redattori. Fra loro Anna Politkovskaja, che nel suo coraggioso lavoro era guidata da una regola semplice: «L’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede. I fatti sono i fatti». No, non tutto è propaganda.

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