Mediterraneo, opportunità e sicurezza per l’Italia

Attualità. Più s’inasprisce il conflitto in Ucraina, più risalta il ruolo del Mediterraneo: tutto si tiene, in un groviglio inestricabile, con un effetto rimbalzo. Un clima di ritrovata attenzione, necessaria in quanto imposta dalla realtà, verso la Sponda Sud e in genere il continente africano, al centro delle mire dei Grandi.

Gli equilibri si stanno modificando, cambiano i rapporti fra le potenze regionali lungo l’arco di crisi dalla Libia alla Turchia per scendere fino al Sudafrica. L’iniziativa del governo italiano (l’accordo con l’Algeria per fare del nostro Paese l’hub energetico d’Europa, i colloqui in Tunisia, Turchia ed Egitto, il vertice sui Balcani) s’inserisce in questo nuovo filone, aspettando di capire se si tratta di risolvere un’emergenza o di elaborare un progetto strategico vero e proprio. La campagna d’Africa completa, comunque, il lavoro del governo Draghi, sta negli standard storici della diplomazia mediterranea dell’Italia, quella di svolgere un ruolo di pontiere e veicolo di democrazia dello sviluppo, spendendo il proprio capitale geografico e culturale. Vedremo gli effetti del secondo capitolo, quello di sabato scorso, con la missione di Giorgia Meloni a Tripoli, nel cuore della partita libica.

Tutto questo dice almeno tre cose: l’interesse nazionale si gioca fuori dai confini e nella capacità di cooperare con gli altri Stati, investendo in Africa ci si aiuta anche a casa propria, il Mediterraneo non è solo fonte di guai ma anche di opportunità, lo sviluppo del continente nero è qualcosa di assai più complesso del tema immigrazione. La questione sicurezza oggi ha tanti significati, è diventato un termine pieno e abbraccia tutta l’esistenza delle società. Cosa sta succedendo in questo pezzo di mondo mentre c’è il rischio di un’escalation militare con la Russia? Il baricentro dell’Europa, fra riarmo tedesco e attivismo della Polonia e dei Baltici, si sta spostando a Est. L’area del Mediterraneo allargato importa inflazione, insicurezza alimentare, instabilità politica. L’inflazione nella Turchia del battitore libero Erdogan, autocrate in patria e negoziatore fra Ucraina e Russia, galoppa verso il 100%. Il Libano è in ginocchio. In Libia, il «cortile di casa» dell’Italia e a suo tempo terreno di competizione con la Francia, ci sono due governi rivali, uno a Tripoli (riconosciuto dalla comunità internazionale) e l’altro a Bengasi. Per il momento non c’è alcuna prospettiva che si tengano le elezioni già rinviate nel 2021: il caos, con tutto quel che segue, continua. Libia vuol dire gas e petrolio (Eni), flussi migratori, criminalità organizzata.

Europa e Mediterraneo si aiutano a vicenda,visto che la guerra in Ucraina ha spostato l’asse della nostra dipendenza energetica dalla Russia all’Africa. Un continente che cresce in demografia, ma che ha smesso di farlo in economia: c’è la mina vangante del debito, uno Stato su due rischia il default, tre Paesi (Mali, Zambia, Ghana) sono falliti. Dinanzi all’espansionismo cinese e russo, la novità è il ritorno dell’interesse americano dopo lo sganciamento in Afghanistan: Washington non può permettersi un’altra crisi della sicurezza a Nord del Sahel, dove i soldati francesi sono in arretramento, teatro del terrorismo islamista e di un contagioso consenso verso la Russia. Nel contempo gli Stati Uniti devono contenere la presenza di Mosca in Libia: i mercenari della Wagner sono insediati in Cirenaica, mentre i turchi sostengono l’esecutivo di Tripoli. I Paesi africani, a partire dall’Algeria, sono i migliori acquirenti di armi da Mosca e i suoi contractor sono presenti in una decina di Stati. Mosca penetra con lo strumento militare, Pechino con gli investimenti nelle infrastrutture. La Russia cavalca la neutralità di diversi Paesi africani sulla guerra in Ucraina, che gioca a favore di un progetto più esteso del Cremlino: quello di attrarre il continente nero in un blocco economico alternativo all’Occidente, cioè espandendo il club delle economie emergenti (i Brics) per renderlo antagonista del G7.

Si capisce così perché in questi giorni l’Africa sia al centro di un’offensiva diplomatica di Mosca (ministro degli Esteri Sergej Lavrov) e Washington (segretario al Tesoro Janet Yellen), dopo quella della Cina, la cui posta è la competizione sul piano dell’influenza geopolitica. L’equidistanza africana, onda lunga dei consolidati rapporti con il Cremlino al tempo della Guerra fredda, poggia sui binari paralleli dell’antiamericanismo e del risentimento nei confronti delle ex potenze coloniali. Il giudizio è che quella in Ucraina sia una «guerra tra europei»: «Le narrazioni russe - ha scritto Eleonora Tafuro, analista dell’Ispi - sui doppi standard e gli atteggiamenti paternalistici occidentali hanno un’eco molto forte in Africa e si rifanno alla storia dell’Urss come sostenitrice dei movimenti anticoloniali. Oggi queste narrazioni sono parte fondamentale della strategia russa di soft power e contribuiscono a spiegare l’esitazione di molti Paesi africani a schierarsi risolutamente contro la guerra».

L’ingresso dalla porta centrale del Mediterraneo e dell’Africa nell’agenda globale, direzione che influisce sugli interessi e sulle preoccupazioni dell’Italia, mostra la natura e la portata della nuova fase indotta dal conflitto in Ucraina. Con tre fattori in movimento: sicurezza, cooperazione, competizione.

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