Papa Francesco e la guerra. Quelle prese di posizione rischiose e incomprese

Cento giorni e cinquanta interventi, uno ogni due giorni per l’aritmetica. Papa Francesco ha seguito una linea precisa sul conflitto in Ucraina, quella dettata da Papa Giovanni XXIII e cioè che la guerra è «aliena alla ragione», inconciliabile con la ragione umana.

Si è rifiutato di rispolverare vecchie teorie sulla guerra giusta o di riadattare pronunciamenti sull’ingerenza militare umanitaria, come era accaduto per il Kosovo e per Timor Est. Bergoglio si è assunto la responsabilità di posizioni «rischiose e incomprese» come ha scritto ieri il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, «con il rischio di trovarsi solo come una voce che grida nel deserto».

È esattamente quello che accadde a Giovanni Paolo II vent’anni fa quando si rifiutò di benedire la guerra preventiva di George W. Bush in Iraq, nonostante molti vassalli cattolici negli Usa e altrove tentassero di arruolarlo tra i supporter di una presunta guerra etica e della giustificazione della pax americana. Francesco ha provato, finora senza successo, a neutralizzare la guerra richiamandosi al negoziato, ma nello stesso tempo non vi possono essere dubbi sulla condanna dell’aggressore. A suoi detrattori non basta e fanno notare adesso come in cento giorni non abbia mai nominato la Russia, né Vladimir Putin ponendo sullo stesso piano aggressori e aggrediti. Nulla di più falso perché ha denunciato chiaramente l’«inaccettabile aggressione armata», la «violenta aggressione», il «massacro insensato», la «barbarie», fino a definire il conflitto «atto sacrilego». Mercoledì scorso, in uno degli ultimi interventi, ha accusato di usare il grano come arma di guerra smascherando così l’ulteriore drammatica logica di una guerra «sporca e ripugnante». Ha cercato di dialogare con tutti, ha provato a chiamare Putin, ha incontrato in video-conferenza il Patriarca Kirill, sorbendosi la sua lezioncina sul conflitto opportuno per fermare l’apocalisse del male, quasi fosse voluta direttamente da Dio.

La Santa Sede ha criticato la retorica religiosa usata da Putin e da Biden. Bergoglio è andato perfino a casa dell’ambasciatore russo in Vaticano, pronto a trattare con il «diavolo», come era già accaduto in Birmania con il generale Aung, capo della giunta golpista, massacratore dei Rohingya e dei cristiani che li difendevano. Ha messo sotto la stessa croce il Venerdì santo una donna russa e una ucraina, in silenzio, perché fosse chiaro al mondo intero lo scandalo di stare insieme ed è stato frainteso a Kiev dal presidente e dai vescovi. Ha inviato in Ucraina due cardinali e il suo Segretario agli esteri. In questi mesi non ha mai sperato nell’umiliazione di Mosca e ha insistito a puntare «veramente e decisamente sul negoziato», bocciando corsa agli armamenti, escalation militare, allontanando ogni retorica della vittoria e confermando la sua visione geopolitica aliena all’idea che si debba governare il mondo come «uno scacchiere dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri». Vale per Putin, vale per tutti, in «attesa di una parola di pace», come titolava ieri in prima pagina l’Osservatore Romano.

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