Sarajevo 30 anni fa, le analogie
con l’Ucraina

Centinaia di donne provenienti da tutta la Bosnia hanno manifestato lunedì 11 aprile a Sarajevo per chiedere verità sugli eccidi nei quali hanno perso la vita mariti, figli e parenti. I volti di quegli uomini - alcuni risultano tuttora dispersi perché non sono stati ritrovati i corpi - apparivano su lunghi striscioni.

Ancora nella capitale bosniaca è stato ricordato il 30° anniversario dell’avvio dell’assedio della città, iniziato il 5 aprile 1992 e terminato dopo 1.453 tragici giorni, durante i quali persero la vita 12mila persone (1.200 bambini) e 60 mila furono ferite: un abitante su sei venne colpito da cecchini, granate o bombe. La ricorrenza cade proprio nel tempo in cui il nostro continente è teatro in Ucraina del secondo conflitto (il primo fu appunto nei Balcani) dopo la Seconda guerra mondiale. «Quello che si credeva appartenere ormai alla storia del disonore umano torna sulla scena con rinnovata brutalità e distruzioni, frutto di una ideologia fascista sotto nuove sembianze. Da questa città simbolo della resistenza noi diciamo con forza che non bisogna mai perdere la speranza e rinunciare a combattere per un futuro migliore», ha detto la giovane sindaca di Sarajevo Benjamina Karic.

«Quello che si credeva appartenere ormai alla storia del disonore umano torna sulla scena con rinnovata brutalità e distruzioni, frutto di una ideologia fascista sotto nuove sembianze. Da questa città simbolo della resistenza noi diciamo con forza che non bisogna mai perdere la speranza e rinunciare a combattere per un futuro migliore»

Ci sono analogie fra le due guerre. Innanzitutto la sottovalutazione europea delle micce già accese: la disgregazione della Jugoslavia non fu improvvisa ma preceduta da tensioni e risorgimenti di nazionalismi malati; in Ucraina invece nel 2014 l’annessione unilaterale della Crimea alla Russia e l’avvio del conflitto nel Donbass. Ma le responsabilità dell’Ue non devono offuscare l’innesco grave della tragedia: nei Balcani le indipendenze proclamate con grande fretta da Slovenia e Croazia senza un nuovo disegno complessivo dei rapporti con le altre ex Repubbliche jugoslave. E poi le ambizioni di Zagabria e di Belgrado, i sogni revanscisti di una Grande Croazia e di una Grande Serbia. L’invasione dell’Ucraina ha alle spalle un pensiero molto diffuso negli ambienti vicini al Cremlino: l’obiettivo di una Grande Russia rimediando agli errori storici di aver ceduto territori per la nascita di Stati indipendenti sulle ceneri delle ex Repubbliche sovietiche. E l’Ucraina riveste un ruolo particolare: qui nacque la Rus’ di Kiev, monarchia medievale degli slavi orientali, sorta alla fine del IX secolo in parte del territorio delle odierne Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia orientali. Il presidente russo Vladimir Putin ha sposato l’ideologia del «Russkij mir», del mondo russo e della sua riunificazione. Dopo Cecenia, Georgia, Siria e Libia - come ha evidenziato il mensile di geopolitica «Limes» - il conflitto in corso è il quinto atto del piano di Putin per restituire al suo Paese il rango di grande potenza.

L’invasione dell’Ucraina ha alle spalle un pensiero molto diffuso negli ambienti vicini al Cremlino: l’obiettivo di una Grande Russia rimediando agli errori storici di aver ceduto territori per la nascita di Stati indipendenti sulle ceneri delle ex Repubbliche sovietiche.

Il presidente Slobodan Milosevic tolse l’autonomia al Kosovo e fece leva sui serbi di Bosnia per strappare territori ai bosniaci musulmani «ripulendoli» attraverso la pulizia etnica, ricorrendo a crimini di guerra con uccisioni deliberate di civili e seminando il terrore, costringendo i sopravvissuti a scappare (la guerra in Bosnia provocò 2,5 milioni di profughi e di sfollati su 5 milioni di abitanti). Sono gli stessi metodi utilizzati dall’esercito russo in Ucraina, con la devastazione di città (8.500 palazzi distrutti in 50 giorni dall’inizio dell’invasione) e di villaggi, svuotati dei loro abitanti.

Milosevic fu scalzato dalla rivolta del suo popolo. In Russia questo scenario non si realizzerà. Bisognerà trattare con Putin ma conoscendo l’ideologia che lo muove. La manifestazione delle donne bosniache a Sarajevo per avere verità sugli eccidi ci ricorda quanto a lungo durano le ferite dei conflitti. Una pace senza giustizia è precaria, instabile fino a cadere se i torti subiti non vengono riconosciuti e tutti i responsabili non pagano.

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