Sfidare il Cremlino può costare la vita

MONDO. Purtroppo è finita come in tanti temevano: Aleksej Navalny è deceduto in carcere. La sua battaglia disperata contro il potere l’ha portato ad una tragica e inevitabile conclusione.

È stato il suo amore incommensurabile per la Russia a farlo tornare a casa dopo essere stato avvelenato in Siberia nell’estate 2020. Ricordiamo ancor adesso, come se fosse oggi, quell’ultimo bacio triste, regalato alla moglie Julija all’aeroporto di Mosca, prima di consegnarsi alla polizia. Da quella terribile serata del 17 gennaio 2021 è iniziata la sua «via crucis», fatta di processi estenuanti, detenzione senza speranza di una via d’uscita e lunghi periodi di isolamento, fino a morire in un luogo remoto di detenzione al circolo polare artico, definito dai media occidentali «l’ultimo gulag».

L’avvicinarsi delle presidenziali di metà marzo aveva suggerito al potere di trasportare l’indomabile dissidente il più lontano possibile da Mosca. Il suo invito ai russi (attraverso gli avvocati) a «votare per chiunque, ma non per Putin», aveva creato ulteriore disagio in un Paese in cui la narrativa è unica e nessuno - perfino i nazionalisti (chiedere per informazioni all’eroe del Donbass Igor Strelkov, condannato a 5 anni di reclusione) - si può azzardare a dire qualcosa al di fuori del sentiero tracciato. Ecco la ragione della sua presenza in un carcere ai confini del mondo, raggiungibile dopo giorni di viaggio e privo di elementari sistemi di comunicazione moderni. Aleksej Navalnyj non accettava che la Russia - con Putin al Cremlino dopo il 2012 - avesse deragliato dalla via maestra della democrazia e dello Stato di diritto. Lottava inoltre per la nascita di un Paese senza «missioni» da compiere, dopo secoli segnati da spaventosi drammi. Avvocato moscovita, blogger di successo, abile politico è sempre stato temuto per la sua capacità innata di saper portare in piazza migliaia di persone in ogni angolo dell’immenso gigante slavo. Soprattutto i giovani, quelli che si informavano su internet e non attraverso i tradizionali canali controllati dal regime, rappresentano la sua base. La nuova Russia del futuro, insomma, contro quella delle anziane generazioni ex sovietiche, revansciste e nostalgiche di quell’impero che non esiste più.

Le sue inchieste con denunce contro la corruzione hanno attirato l’attenzione di milioni di connazionali, che hanno guardato i suoi video sul web. Incredibili sono quelli sull’ex premier Medvedev (anche lui ex capo del Cremlino) e sulla presunta «reggia» di Putin sul Mar Nero. Con quel suo sorrisetto sfottente Navalny ha raccontato le dinamiche più nascoste e scoperchiato il vaso di Pandora contenente i segreti meglio custoditi dell’attuale classe dirigente. La reazione dei potenti è stata che quell’«estremista» - poi condannato per i reati più diversi a 19 anni di reclusione - era un «traditore al soldo degli stranieri» e le sue informazioni provenivano dalle intelligence occidentali. Dopo Boris Nemtsov, massacrato sotto al Cremlino nel febbraio 2015, le opposizioni democratiche hanno adesso un nuovo illustre martire: Aleksej Navalny. Ma la lista di chi ha perso la vita dal 1991 ad oggi nella speranza di costruire un Paese normale è lunghissima. Il grande pubblico occidentale certamente ricorderà la giornalista Anna Politkovskaja che denunciava le brutalità nel Caucaso. L’impatto della scomparsa di Navalny in patria è difficile da valutare. Subito dopo l’annuncio della notizia ovunque sono stati deposti mazzi di fiori ai monumenti dedicati alle vittime della repressione politica. La polizia è intervenuta a disperdere gli assembramenti e i mass media ufficiali glissano.

Come per Evghenij Prigozhin - il capo della Wagner morto in un misterioso incidente aereo in settembre dopo essersi ribellato con le armi a Putin - sicuramente non verranno concessi funerali pubblici. Troppo alto è per il potere il pericolo di manifestazioni di protesta in un momento così delicato. Come troppo elevato, al contrario, è per i dimostranti il rischio di finire nei guai. Dal punto di vista internazionale la morte del «nemico numero uno di Putin» traccia un ulteriore solco tra la Russia e l’Occidente e rende le élite legate al Cremlino, ancora meno accette all’estero di quanto lo siano state dopo lo scoppio della tragedia russo-ucraina, il 24 febbraio 2022. Un ultimo punto: se qualcuno ad Est pensa di poter rimanere con le mani pulite davanti a quanto succede, la scomparsa di Navalny dimostra che non è possibile.

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