C’è una guerra che non si vede

Lunedì il prezzo del grano in Europa ha battuto ogni record storico: 438 dollari per una tonnellata. È una piccola notizia, passata largamente inosservata. Ma è una di quelle notizie che pian piano sgretolano la convinzione che avevamo inconsciamente maturato. Ovvero, che la guerra in Ucraina restasse in Ucraina. Che bastasse arginare la Russia con le sanzioni e rinsaldare le difese di Kiev per restare fuori dal conflitto. E invece l’impresa insensata di Vladimir Putin è come un masso scagliato in un lago, i cerchi delle conseguenze si allargano sempre più. E la definizione di «Paese ostile» che il Cremlino ha affibbiato in pratica a tutta l’Unione europea non sarà priva di conseguenze.

L’episodio più recente, a proposito del nostro Paese, è stato l’attacco hacker con cui il gruppo filorusso Killnet (non è chiaro se sia un’emanazione diretta dei servizi di spionaggio russi o un’organizzazione di pirati informatici che ora fa anche politica) ha bloccato per qualche ora i siti del ministero della Difesa e del Senato e quelli di altri enti pubblici e privati. Nulla di drammatico, e infatti i cittadini non se ne sono praticamente accorti. Ma è stato, altrettanto chiaramente, un assaggio, come hanno detto quelli di Killnet una «esercitazione». In vista di cosa? Non si sa, di certo possiamo aspettarci di peggio e quindi premunirci. D’altra parte l’Ucraina, alla vigilia dell’invasione, era stata colpita dalla Russia con una campagna elettronica che aveva mandato in tilt molte delle linee di comunicazione satellitare di Kiev. A sua volta, la stessa Russia è vittima di un’ondata senza precedenti di attacchi informatici da parte di attivisti ucraini e stranieri che sono riusciti a toccare, senza fare troppi danni, obiettivi sensibili come ministeri e grandi aziende statali, ma che soprattutto mirano a diffondere tra i russi insicurezza e coscienza della guerra. L’ultimo caso: il 9 maggio, giorno della Parata della Vittoria e della sfilata militare sulla Piazza Rossa, tutti i maggiori canali Tv russi hanno visto sparire i titoli dei programmi e comparire al loro posto frasi come «Sulle vostre mani vi è il sangue di migliaia di ucraini», «Le televisioni e le autorità stanno mentendo», «No alla guerra».

Le operazioni militari nel Donbass o di fronte al porto di Odessa sono l’aspetto più clamoroso di un braccio di ferro che continua con molti altri mezzi. È di ieri anche la notizia che le autorità russe hanno deciso di confiscare i beni e le attività in Russia della società francese Renault. È il primo caso, difficilmente sarà l’ultimo, visto che centinaia di aziende occidentali hanno lasciato la Russia sull’onda delle sanzioni economiche e che il Cremlino cercherà in ogni modo di vendicarsi dei sequestri operati ai danni dei suoi oligarchi e delle sue riserve valutarie. Ma un’azienda confiscata è un’azienda che bisogna far funzionare, e non è detto che i manager russi riescano nell’impresa. Molto più insidiosa l’azione del ministero del commercio, che ogni settimana pubblica liste di prodotti occidentali di cui è lecita l’importazione anche senza licenza. Di fatto un incitamento al commercio illegale alle spalle, appunto, delle aziende occidentali più prestigiose e qualificate. E poi ovviamente c’è il sentimento di insicurezza generale che la guerra ha generato in tutto il continente e che spinge a decisioni comprensibili ma forze non abbastanza ponderate. Svezia e Finlandia stanno buttando alle ortiche una lunga tradizione di neutralità e chiedono con urgenza di poter entrare nella Nato. Non è difficile capire la ragione della decisione: il timore dei cittadini, preoccupati che la Russia possa attaccare altri Paesi, e il loro desiderio di mettersi sotto l’ombrello di un apparato di difesa collettivo e sperimentato. Siamo sicuri che sia la cosa giusta da fare, in questo momento? Forse no. Ma non importa, è la spia di un sentimento che dilaga e si diffonde persino tra popoli, come appunto quello finlandese e quello svedese, comunque abituati ad avere a che fare con certi vicini. Possiamo solo immaginare che cosa occorrerà fare, quando la Finlandia sarà nella Nato, per proteggere i 1.340 chilometri del suo confine con la Russia. E a quali «giochi» assisteremo lungo quella linea, tracciata tra i ghiacci ma così calda.

Aveva insomma ragione la premier svedese Anderssen: ormai ci sono un prima e un dopo l’invasione dell’Ucraina. L’Europa che abbiamo conosciuto fin qui, un’unione di Paesi in fondo convinti che pace e prosperità fossero garantiti quasi per diritto, non esiste più. Vladimir Putin ci ha lanciati in una nuova Europa, tutta da scoprire. Anzi, da inventare.

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