Ucraina il pericolo
che salti il banco

Una chance per cancellare il «regalo avvelenato» di Donald Trump al Vecchio continente. Russi, americani ed europei sono ora nella situazione di potersi accordare per non dislocare in futuro missili a medio e a corto raggio nella regione. A due anni e mezzo dall’uscita unilaterale degli Stati Uniti dal trattato «Inf» - una delle fondamenta che ha determinato la fine della Prima guerra fredda - questo sarebbe un risultato inatteso in caso di risoluzione dell’attuale crisi ucraina. Ma si sa, da abili giocatori di poker, russi ed americani sono abituati a mettere sul piatto della bilancia l’intera posta. Così il pericolo che salti il banco diventa alto. Ecco perché dal 1945 il Vecchio continente non è mai stato tanto vicino ad un conflitto su larga scala come oggi.

Oltre alle offerte per evitare una versione contemporanea della «crisi degli euromissili» degli anni Ottanta, gli occidentali hanno fatto proposte sulle armi nucleari in Europa e su un meccanismo trasparente di controllo. Nessuna apertura, invece, sulla possibilità di future adesioni alla Nato di Stati sovrani: il mondo delle sfere di influenze è roba da libri di storia. Il pallone, come si suole dire, è stato lanciato adesso nel campo russo, mentre l’Alleanza atlantica continua a rafforzare il suo «fianco orientale» e alcuni Paesi occidentali stanno inviando armi leggere di difesa e istruttori agli ucraini.

Non solo. La Repubblica ex sovietica sta ricevendo aiuti tecnici per uscire dall’isolamento in caso di chiusura delle condotte, che in parte funzionano ora anche in direzione ovest-est e nord-sud. La Polonia ha comprato gas Usa e lo consegnerà presto a Kiev. Lo stesso stanno facendo la Slovacchia e l’Ungheria. La partita si gioca, quindi, su più campi: militare, tecnico, finanziario, informativo. E in caso di ostilità, cibernetico. Da quanto si apprende, se il Cremlino non ordinerà la de-escalation in Ucraina, gli americani sono intenzionati a sanzionare tutti i membri dei Consigli di amministrazione delle principali compagnie russe. Una mazzata paurosa per l’establishment che sostiene Vladimir Putin. In ballo, a quel punto, entrerebbe anche la sua candidatura ad un nuovo mandato presidenziale nel 2024. La sensazione è che il potere federale abbia fatto un passo troppo lungo in questa crisi.

Una cosa è una guerra in Siria, un’altra in Ucraina. Anche il russo medio ne è cosciente. Ecco perché in tivù i toni si stanno tranquillizzando. Ma in questa battaglia all’ultimo colpo la Russia si gioca il suo ruolo di potenza nel XXI secolo. E lo stesso sta accadendo per l’Unione europea, anche se quest’ ultima non se n’è ancora resa conto. Mosca tenta di proseguire nella sua tattica di dividere gli europei, organizzando summit con imprenditori europei o garantendo a membri Ue «euroscettici» vantaggi economici. Il problema è che il suo appeal e la sua forza finanziaria sono minori rispetto a quelli di Washington. Joe Biden non si fermerà e Vladimir Putin non intende subire un danno d’immagine. Di qui la prosecuzione dell’esibizione di muscoli come in un’interminabile gara di body-building. Ma è l’Europa, che rischia di trasformarsi in un campo di battaglia, che dovrà dire loro di fermarsi. Bisognerà trovare anche le parole giuste per spiegare al Cremlino (ma anche ad alcuni ex satelliti di Mosca, oggi membri Ue) che l’Occidente ha bisogno di una Russia al suo fianco nella partita con la Cina. Non sarà, però, facile quando al negoziato parteciperanno settantenni, abituati agli scenari della Prima guerra fredda, e gente piena di passati rancori. Che l’Italia resti vigile.

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