Se l’Ucraina si sente sola, i due mondi paralleli

IL COMMENTO. In una recente intervista al quotidiano «Avvenire», l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kiev, ha dichiarato fra l’altro: «Ogni tanto guardo alcune discussioni televisive in Occidente sulla guerra qui. Sono show in cui tutti capiscono tutto o spiegano con estrema facilità ciò che succede. E mi rendo conto che viviamo in mondi paralleli: uno teorico, l’altro reale».

L’Ucraina martoriata sta vivendo una condizione di solitudine. Gli aiuti umanitari privati dall’estero sono calati bruscamente mentre i bisogni aumentano. Il sostegno militare occidentale, che ha sollevato molte polemiche, additato come causa di un’escalation del conflitto, si è rivelato per quello che è: Kiev ha ricevuto un terzo (e in ritardo) delle armi richieste per respingere l’invasione russa che ha l’obiettivo di smembrare lo Stato sovrano e indipendente. Sono invece bloccati nuovi pacchetti di aiuti americani ed europei per l’opposizione rispettivamente dei Repubblicani legati a Trump e dell’Ungheria filorussa di Viktor Orban. Quei pacchetti comprendono anche miliardi di dollari e di euro per pagare gli stipendi dei dipendenti statali ucraini, compresi chirurghi, medici e infermieri che curano ferite e traumi della guerra. Eppure secondo una recente ricerca dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev, il 58% degli ucraini è a favore della continuazione della campagna militare per allontanare gli invasori anche se gli aiuti si riducono, mentre il 32% è per un congelamento della lotta ma «con serie garanzie di sicurezza da parte dell’Occidente».

Fin dall’inizio dell’aggressione, sull’Ucraina grava un diffuso (soprattutto in Italia) giudizio infame di corresponsabilità nel conflitto per aver scelto l’Unione europea come futura collocazione e richiesto (con esito negativo peraltro) l’ingresso nella Nato considerandola ombrello protettivo dalle storiche mire belliciste imperiali del Cremlino. Gli show ai quali si riferisce il nunzio apostolico sono la cassa di risonanza di queste teorie che sollevano Vladimir Putin dalle sue gravissime responsabilità e nei quali si discute di cessione di territori ucraini in cambio della pace, come se nel 2014 Kiev non avesse già perso la Crimea senza alcuna reazione militare e nello stesso anno non fosse scoppiato il conflitto con i separatisti del Donbass sostenuti in armi, uomini e denaro da Mosca: l’invasione iniziò allora.

Intanto il Cremlino ha intensificato gli attacchi su città e villaggi lontani dal fronte, in aree prive di obiettivi militari. In cinque giorni sono stati sparati 500 missili e droni esplosivi sull’Ucraina. Oltre 5mila in due anni e in prevalenza su edifici civili, 268mila distrutti secondo l’Onu: abitazioni, scuole, asili, università, ospedali e chiese. Lo «zar» ha poi avviato di recente il bis della cosiddetta campagna di «terrorismo energetico» distruggendo centrali elettriche e depositi di gas. Secondo l’Unicef, un milione di bambini sono a rischio gelo e buio.

In settimana, visitando i soldati russi feriti in battaglia, Putin ha detto che «anche noi vogliamo la fine della guerra il prima possibile. Ma alle nostre condizioni. Non desideriamo combattere all’infinito ma non siamo nemmeno disposti a cedere le nostre posizioni». Il «nostre» è di troppo trattandosi di territori di uno Stato sovrano conquistati con la forza. Il capo del Cremlino ha aggiunto che «i rifornimenti si esauriscono e l’esercito di Kiev è quasi arrivato a questo punto. Invece le nostre capacità industriali belliche stanno crescendo esponenzialmente». Si può tentare di convincere Kiev ad accettare le condizioni degli invasori ma la comunità internazionale si troverebbe davanti a una scelta: dare ragione ai rapporti di forza, non essendo all’ordine del giorno (non lo è mai stata) una dichiarazione di guerra alla Russia, o cercare di affermare il diritto internazionale che è tutto dalla parte ucraina. Nel discorso di fine anno il presidente Xi Jinping ha dichiarato che «la Cina sarà sicuramente riunificata a Taiwan»: se a Mosca verrà concesso il 20% del territorio attualmente occupato dal suo esercito, dove veniva prodotto il 26% del Pil ucraino, come si potrà impedire a Pechino di conquistare l’isola di Taipei? Il nuovo ordine mondiale che si vuole necessariamente più giusto e più equo, deve essere fondato sul diritto internazionale o su rapporti di forza seppur rinnovati ma non per questo più pacifici, anzi? Forse negli show andrebbe cercata una risposta a questa domanda.

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