
(Foto di Ansa)
MONDO. La morte terribile di Victoria Roshchyna, giornalista ucraina di 27 anni spirata in un carcere russo dopo aver subito torture e altre violenze, solleva il velo di silenzio su ciò che accade nel 20% di Ucraina occupata dalla Russia e annessa illegalmente nel settembre 2022.
La cronista della «Ukrainska Pravda» era già stata arrestata una prima volta in quelle terre tre anni fa, incarcerata per dieci giorni e poi liberata: fu un avvertimento. Ma la giovane giornalista era determinata a documentare le angherie che i suoi connazionali subiscono in quella che il Cremlino chiama la «Nuova Russia», conquistata con le armi in spregio al diritto internazionale sancito dalla Carta dell’Onu.
Tornò nelle terre sottratte nel 2023, ad agosto venne nuovamente incarcerata e i parenti non ebbero più sue notizie fino al ricevimento del certificato di morte. Il corpo è stato restituito alla famiglia solo la scorsa settimana, a sei mesi dal decesso, con segni di torture e senza organi, riconoscibile solo dall’analisi del Dna, dentro un sacco bianco con la scritta «maschio». «Victoria era il ponte fra l’Ucraina e quei territori. Da quando è scomparsa non c’è più copertura di ciò che succede lì» ha detto la caporedattora della «Ukrainska Pravda».
Qualcosa, e di molto grave, emerge da report di denuncia di organismi internazionali e di organizzazioni non governative (ong). Un dossier di Amnesty International del 24 marzo 2024 ha un titolo emblematico: «Dieci anni di soppressione delle identità non russe nella Crimea occupata». Missione Onu per i diritti umani e Croce Rossa Internazionale hanno documentato carcerazioni arbitrarie, torture e sparizioni di chi si rifiuta di prendere la cittadinanza degli invasori, oltre alla perdita della casa, del lavoro, dell’assistenza sanitaria e dell’accesso ai conti bancari. La Chiesa greco cattolica, messa al bando nei territori occupati, ha invece denunciato casi di perdita della patria potestà dei figli per chi non cambia nazionalità.
Mosca ha risucchiato oltre 16mila ucraini: giornalisti, volontari e cittadini comuni rapiti e trattenuti nei campi di detenzione. Nei territori annessi vivono circa 3,5 milioni di persone per le quali tentare di scappare nell’Ucraina libera è pericoloso. Giustamente Volodymyr Zelensky ha dichiarato che «non difendiamo territori ma persone». Per il nunzio apostolico a Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas, «è tutto da dimostrare che l’occupazione dell’Ucraina provocherebbe meno morti della resistenza all’invasione». Ad oggi secondo l’Onu nel Paese aggredito risultano scomparsi 70mila civili dei quali non si ha più notizia.
Sul «Corriere della Sera» lo scrittore Paolo Giordano ha esposto una riflessione preziosa: «Il corpo di chi racconta la guerra è sacro - al pari di quello dei bambini, del personale medico, dei civili tutti - perché è il rappresentante, nonostante tutto, della civiltà in mezzo alla violenza. È il nostro deputato, la prova che la civiltà esiste ancora, da qualche parte, e prima o poi tornerà a chiedere conto di come ogni azione bellica è stata compiuta. Dove il corpo di chi racconta viene violato, dove questo viene fatto sistematicamente, è l’ordine sociale stesso a essere oltraggiato. La guerra diventa puro crimine. Le storie dei giornalisti nelle zone occupate sono quindi spie di come va il mondo. E il mondo non sta andando bene. Il Committee to protect journalists ha designato il 2024 come l’anno in cui sono morti più giornalisti da quando il comitato esiste, cioè più di quarant’anni. Il contributo maggiore arriva ovviamente dalle centinaia di giornalisti uccisi a Gaza. Il periodo d’oro dell’informazione coincide con il periodo nero dell’informazione».
Nella Striscia i cronisti internazionali non hanno accesso ma sappiamo cosa accade grazie anche a filmati e testimonianze di operatori di ong dalla comprovata serietà: bombe pure in prossimità o su tendopoli, la sopravvivenza dove non c’è alcuna sicurezza, fra macerie e rifiuti, fango e senza servizi igienici, la fame e il terrore dei bombardamenti che hanno provocato l’uccisione di decine di migliaia di civili (17mila erano bambini secondo l’Unicef). L’esito di tanto dolore non sarà la pace: secondo piani mai smentiti, l’obiettivo, oltre all’urgente liberazione degli ostaggi e la resa di Hamas, è di svuotare la Striscia di almeno un milione di palestinesi («partenze volontarie» che di volontario non hanno nulla, semmai necessitate) riportandovi insediamenti ebraici in ossequio ai desiderati dall’estrema destra religiosa, dominus di Israele. Il destino di Gaza andrà in parallelo con quello della Cisgiordania, sempre più colonizzata e dove i coloni armati attaccano impunemente le piccole proprietà dei palestinesi spesso aggrediti.
Le occupazioni militari di territori, storicamente non generano pace ma violenze. La tensione alla libertà è nella natura umana, a prescindere dalle appartenenze.
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