Se si muore di fame alle porte dell’Europa

ESTERI. Morire di fame: non accade solo nei villaggi del Corno d’Africa flagellati dalle carestie. È successo nei giorni scorsi a una sessantina di migranti su un gommone alla deriva nel Mediterraneo, rimasto invisibile per una settimana nonostante le richieste di aiuto. I naufraghi erano privi anche di acqua.

Ma si perde la vita per malnutrizione pure a Gaza: è la tragica sorte che ha colpito dieci bambini in uno dei pochi ospedali ancora aperti nella Striscia, nel Nord dove le persone si cibano di erba e di mangime per animali. Gli aiuti umanitari arrivano con il contagocce e paracadutarli si è rivelata una soluzione molto limitata. Prima del 7 ottobre scorso, nella Striscia ogni giorno entravano 500 camion carichi di farina, prodotti per l’igiene e medicine: attualmente l’accesso è consentito solo auna sessantina di tir, una quantità insufficiente per nutrire 2,3 milioni di persone che non hanno più un lavoro né l’accesso ai mercati perché ogni attività si è fermata. Il governo Netanyahu motiva le restrizioni con ragioni di sicurezza: i mezzi sarebbero sequestrati da Hamas. Ma secondo testimonianze da Gaza, vengono invece assaltati dagli affamati. Una soluzione potrebbe essere l’assegnazione della distribuzione ad organizzazioni non governative internazionali. Unione europea, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti e Regno Unito hanno invece garantito l’impegno congiunto per istituire un corridoio marittimo per fornire l’assistenza umanitaria. Ma non c’è tempo da perdere.

Di fame si muore anche fra le onde che bagnano l’Europa. Tra le ultime 60 vittime nel Mediterraneo centrale, c’erano donne e bambini che hanno viaggiato privati pure dell’acqua. I 25 sopravvissuti sul gommone partito dalla Libia e diretto in Italia, hanno gettato i corpi in mare affinché l’imbarcazione non andasse a picco e sono stati soccorsi dalla nave umanitaria «Ocean Viking». Nel 2023 si è consumato il tragico record di vite perse nel Mediterraneo, che continua ad essere la rotta più letale: 3.129 fra morti e dispersi, secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). «Tuttavia si stima che il numero reale sia molto più alto - sottolinea l’Oim - a causa delle difficoltà incontrate nella raccolta dei dati lungo le rotte marittime, dove si registrano regolarmente segnalazioni di “naufragi invisibili” in cui le barche scompaiono senza lasciare traccia».

Per l’Organizzazione ritardi nei soccorsi e limitata possibilità operativa delle ong sono fra i motivi di questo tragico record. Intanto in Italia si è concluso il 21° processo contro navi umanitarie: ancora una volta un’assoluzione. Ma continuano i fermi amministrativi delle stesse navi, a intralciare un’opera urgente che copre i vuoti lasciati dagli Stati. È ormai certificato che le imbarcazioni delle organizzazioni non governative non costituiscono un fattore di attrazione per i migranti in partenza dalle coste del Nord Africa: i picchi di sbarchi in Italia sono avvenuti anche con una sola nave umanitaria presente nel Mediterraneo centrale.

A giugno si terranno le elezioni europee, forse le più importanti dai tempi della costituzione degli organismi comunitari: il nostro continente affronta infatti sfide epocali (dalle migrazioni al conflitto russo-ucraino alla guerra in Medio Oriente) alle quali i partiti sovranisti in ascesa secondo i sondaggi vogliono dare risposte semplicistiche riportando indietro le lancette della storia. Il dibattito italiano in vista del voto finora è stato povero di contenuti e di prospettive: si è limitato ai temi delle alleanze e delle candidature dei segretari di partito, oltre che ai possibili riflessi nazionali dell’esito delle urne. Un dibattito provinciale e ombelicale. Sarebbe invece urgente discutere di quale Europa vogliamo, ispirata a quali principi. Il tema della gestione delle migrazioni non è marginale. Non è più possibile assistere inerti al susseguirsi tragico di morti nel Mediterraneo, addirittura per fame e per disidratazione, o lungo la rotta balcanica per il freddo. Le vittime sono persone che sognano l’Europa come luogo di una vita degna. Hanno un’idea chiara del nostro continente, noi forse no.

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